venerdì 19 dicembre 2008


Traffico boom, personale ridotto, allarme sicurezza sullo Stretto,perché non fare pagare il transito navale?

Appunti di Remigio Raimondi

Dal dopoguerra a oggi la media di un incidente all´anno

La statistica è lì impietosa a ricordare, senza dubbio di smentita, quanto sia pericoloso lo Stretto di Messina e quanto poco abbiano inciso tutti i sistemi di sicurezza adottati dal Dopoguerra a oggi. Negli ultimi cinquant´anni si sono verificati quarantaquattro incidenti, poco meno di uno all´anno. E per cinque volte, ultima la tragedia del 15 Gennaio 2007, le collisioni sono state mortali . Lo Stretto di Messina è l´area a maggior rischio per la navigazione in Italia».Colpa del traffico navale che nella zona cresce costantemente, soprattutto da quando Gioia Tauro è diventato uno dei più importanti porti commerciali d´Europa. Numerose navi che provengono da Suez passano da Messina e la congestione è inevitabile. «La sicurezza è diventata un´emergenza - che il governo e le autorità competenti hanno sempre sottovalutato. Cosa che del resto continuano a fare. All´alba del 21 marzo del 1985, nei pressi di Punta Pezzo, si scontrarono la petroliera greca Patmos e il mercantile spagnolo Castillo de Monte Aragon. Morirono tre marinai, mentre mille tonnellate di greggio finirono in mare. Dopo quella sciagura fu varata una normativa - il Decreto Carta - che, dividendo il mare tra Sicilia e Calabria in corsie, regolamentò il transito delle imbarcazioni. Il primo grave incidente è datato 3 febbraio 1957, da allora una lunga teoria di collisioni che hanno coinvolto navi, pescherecci, petroliere e persino un sommergibile. Intanto Rfi riduce le corse e i posti di lavoro dei marittimi impegnati nei traghetti dello Stato e se ne infischia delle proteste dei sindacati . La situazione è chiara: i traghetti dello Stato hanno da sempre un deficit di 150 milioni di euro l’anno, questo perché sostanzialmente trasbordano solo treni, impiegandosi quasi due ore, mentre gli automobilisti si guardano bene dal salirvi a bordo, molto meglio affidarsi ai traghetti privati della società Matacena- Franza-Genovese I vertici delle Ferrovie si sono chiesti come abbattere questo deficit, e avrebbero trovato questa soluzione: i passeggeri provengono dal Nord sui treni ad alta velocità, arrivati a Villa San Giovanni scendono con tutte le loro valigie e salgono a bordo di aliscafo che in venti minuti li porta dall’altra parte dove trovano i treni siciliani (e viceversa). Come pensare alle famiglie con anziani e bambini che scendono dal treno trascinandosi le valigie?
E’ chiaro comunque che qualcosa le Ferrovie debbono fare. L’impianto finanziario per la realizzazione del Ponte ( prima del no del Governo Prodi) era perfetto perché Rfi, pur di evitare l’emorragia allo Stretto, aveva stipulato una convenzione con la quale avrebbe pagato un canone annuo di 100 milioni di euro per 30 anni, vale a dire 3 miliardi, la metà di quel che sarebbe costata l’opera. Poi c’è stato il veto della sinistra radicale - e di Ponte non si è parlato più, continuando quindi a buttare letteralmente a mare 250-300 miliardi di vecchie lire ogni anno e inquinando le acque. Un capolavoro di economia e di ecologia! Secondo recenti studi, il traffico navale è responsabile del 4% dell’inquinamento atmosferico. E’ vero che non tutto il traffico del Mediterraneo passa dallo Stretto di Messina, ma restando solo ai traghetti essi fanno 60 mila corse ogni anno tra le due sponde. Inutile aggiungere che c’è anche un problema di sicurezza perché il flusso di queste 60 mila corse va ad incrociarsi con quello dei 20 mila cargo che annualmente arrivano dal Canale di Suez e si dirigono al Nord. Allora perché non ipotizzare un piano che vede le amministrazioni regionali di Calabria e Sicilia istituire una tassa di transito per i natanti che quotidianamente pur di non circumnavigare la Sicilia come ovvio preferiscono attraversare lo Stretto con tutti gli interessi che ne derivano.L’idea non è affatto bizzarra se si pensa a Corinto,Suez,Panama etc.Il Federalismo che il Governo si appresta a presentare e che inevitabilmente ancora una volta vedrà penalizzate le Regioni Meridionali ,non ci deve trovare impreparati .Lo Stretto con il Ponte va inteso come risorsa economica che appartiene solo alla Calabria e Sicilia. Come il petrolio che produce la Basilicata deve appartenere ad essa. Si potrebbe altresì ipotizzare che le Regioni più povere d’Italia quali Calabria,Puglia,Basilicata ,Campania potessero avere lo status di Regioni Autonome come Valle d’Aosta,Friuli Venezia Giulia,Trentino Alto Adige con tutti i benefici e privilegi che ne deriverebbero ! Se così fosse ben venga il federalismo.

giovedì 11 dicembre 2008





Non capiamo perché il progetto Ponte sullo Stretto di Messina, dia tanto fastidio ai Politici?delle Regioni del Nord Italia i quali liquidano 30 anni di studi,di conferenze,di progetti,di dibattiti,di interessi europei e internazionali,di coperture finanziarie private reperite sul mercato mondiale del credito,ad appalti già assegnati e per i quali dovremo pagare delle penali per inadempienze contrattuali con denaro pubblico, con queste semplici parole:
Opera inutile !!
La Sicilia e la Calabria hanno bisogno di più acquedotti, oltre che di strade e ferrovie vere e funzionanti e non certo di illusioni e sogni fasulli. Ponte inutile e dannoso, un'opera faraonica e oramai superata, che rappresenterebbe soltanto una gigantesca spesa economica priva di buon senso, perché non porterebbe nè lavoro e nè ricchezza, e avrebbe conseguenze disastrose su uno dei più bei scorci paesaggistici del mondo”
Di inutile ci sono Loro
Noi ci chiediamo per quale motivo reale il Ponte non s’ha da fare? Che danni ipotetici causerebbe in più di quanti reali ne hanno causato il malgoverno e il sottosviluppo delle regioni meridionali?? Opera faraonica ? E allora che dire delle piramidi d’Egitto,della muraglia Cinese,del Golden Gate,della Tour Eiffel,etc. mete di milioni di turisti danarosi provenienti da tutto il Globo? Perché gli altri paesi europei si fanno i loro ponti e l’Italia no? Solo chi è in malafede e poco lungimirante può pensare che un investimento privato di tale portata resterebbe scollegato da strade e ferrovie,anzi, al contrario sarebbe un acceleratore per realizzare tutte le opere promesse . E poi, gli pseudo ambientalisti dell’ultima ora come fanno a prevedere delle conseguenze disastrose per l’ambiente? Perché non si preoccupano dell’immondizia e del degrado che caratterizza le città italiane? Forse non è sufficientemente “impatto ambientale” !! E che dire del WWF che si preoccupa degli uccelli migratori che a causa del ponte perderebbero la rotta e rimarrebbero “perturbati”. Fortunatamente gli uccelli sono più intelligenti di certi ominidi e senz’altro l’eventuale disagio lo risolverebbero deviando la loro traiettoria. Il Ponte sullo stretto deve essere una priorità imprescindibile del governo" perciò
Noi diciamo Si al Ponte
“Il Ponte sullo Stretto non è una invenzione ma un’aspirazione antichissima, di studiosi, di economisti di strateghi e di architetti di ogni tempo
Il Ponte sullo Stretto di Messina, con una lunghezza di 3.666 metri, sarà il più lungo ponte del mondo. La chiave di volta per lo sviluppo turistico / imprenditoriale di tutto il Sud d’Italia,un ponte commerciale con il continente Africano e medio orientale. Siamo sicuri che prima o poi l’intelligenza dei meridionali,prevarrà sulla demagogia e l’incapacità di chi,da troppi anni ha illuso e disilluso intere generazioni.
Il popolo meridionale rivendica pari dignità e pari diritti!!
Il Ponte riguarda l'Europa, riguarda il Mondo, ma soprattutto gli abitanti del Sud Italia !! Non più Italiani di serie B, come vorrebbero i Partiti Nazional-nordocentrici, ma Italiani a tutti gli effetti.
Vogliamo Autonomia e Autodeterminazione,liberi di decidere sulle scelte che riguardano la nostra Terra e la nostra Cultura.

Remigio Raimondi

mercoledì 10 dicembre 2008

Nicola Zitara – FORA... 13/10/2002
Il lavoro e l’indipendenza nazionale
Nicola Zitara
Le due penultime generazioni di meridionali hanno (abbiamo)
campato e campano di lavoro dipendente, sia privato sia pubblico. Alla
fine del mese si andava ( e si va) a riscuotere una paga, poca o molta
che sia, sudata o non sudata che sia. L’educazione dei nostri figli è stata
impostata su tale modello.
La scuola, l’ambiente sociale, le idee prevalenti, l’azione politica e
sindacale hanno portato i giovani a immaginare che avrebbero ripetuto
la vita dei padri e delle madri. Anche il clientelismo, che imperversa da
cento anni nelle nostre regioni corrisponde alla diffusa esigenza di
ottenere un posto stabile e uno stipendio sicuro nel settore del lavoro
dipendente. Ma mentre tutto andava secondo tale paradigma,
l’organizzazione produttiva è cambiata radicalmente. In patria, le
fabbriche sono sempre di meno. I padroni le portano all’estero, in
cerca di bassi salari, oppure (in patria) restano aperte, ma il lavoro e il
salario vanno agli extracomunitari. L’espansione – quel poco che c’è –
si ha prevalentemente nel lavoro autonomo. In Occidente la tendenza
generale è che ogni lavoratore diventi l’azienda di sé stesso. La
generazione educata al posto fisso, nel momento in cui si affaccia
all’esigenza di lavorare e di guadagnare, incontra forti difficoltà ad
adattarsi.
Tuttavia, il fatto di sbattere il muso contro ostacoli duri da superare
non modificherà una tendenza che coinvolge tutto l’Occidente ricco, e
non è modificabile certamente da idee in controtendenza (tranne il
totale crollo del sistema capitalistico ad opera di una rivoluzione). Le
tendenze mondiali l’hanno sempre avuta vinta sulle tendenze locali.
Per i giovani meridionali il disagio raddoppia. Dopo aver annientato
l’industria borbonica, che faceva del Napoletano il paese più
industrializzato dell’Italia preunitaria (tutti i libri di storia falsificano il
dato) e dell’intera area mediterranea, il sistema-Italia ha annientato
anche il vecchio artigianato meridionale, e con esso il concetto stesso
di lavoro autonomo. La confusione mentale di cui oggi soffre la
gioventù meridionale discende in gran parte dal fatto che manca ormai
l’esempio di una classe che sapeva sbrigarsela anche senza il posto
fisso. A riguardo è utile il confronto con le regioni venete, il cosiddetto
Nordest. Quarant’anni fa, quelle regioni - nonostante la particolare
attenzione che il fascismo aveva avuto per Venezia e Trieste, con
prolungamento alla Romagna - erano ancora a uno stadio produttivo
alquanto basso, se confrontate con il Triangolo industriale (Genova,
Torino, Milano) dominato dalla Fiat, dall’Ansaldo, dalla Breda, dalla
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Nicola Zitara – FORA... 13/10/2002
Pirelli, dalla Montecatini ecc. (diversamente da quel che si legge nei
libri patrii, tutte industrie a profitti privati e costi pubblici).
Oggi le Venezie sono all’avanguardia dell’Italia che produce e che
vende. Qual é la ragione del miracolo?
Le Venezie erano popolate da contadini-piccoli proprietari usi alla
fatica, ma poveri e poco istruiti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale
quei contadini poveri andarono a lavorare, chi in Svizzera, chi in
Germania, allo stesso modo dei loro padri, che subito dopo l’unità
nazionale, spinti dalla fame, erano andati a popolare l’Argentina e altri
paesi del Sudamerica. I nuovi emigrati non rimasero, però, nel luogo di
immigrazione.
Se ne tornarono a casa – sicuramente un luogo più accogliente dei
civili paesi cosiddetti di accoglienza - portando con sé qualche
capitaluccio, che usarono per avviare delle aziende familiari sotto la
guida dei loro parroci e delle banche cattoliche, particolarmente (e
storicamente) diffuse in quelle regioni. Con molti sacrifici e grande
coraggio affrontarono il mercato, nemico dei deboli. Il protezionismo
latteario e allevatorio della Comunità Europea ha fatto il resto. Se, nel
cinquantennio trascorso, le collettività venete fossero state guidate –
come il Meridione - da gente assoldata dai governi centrali, oggi i
giovani veneti avrebbero in materia di lavoro gli stessi problemi dei
giovani meridionali.
La classe politica che rappresenta i meridionali a livello nazionale e
locale è modellata sul totale fallimento a cui sono state condotte, nel
Sud, tutte le classi – ivi compresa la vecchia borghesia degli affari e
della rendita. Il ricatto nordista ha dato vita a una consorteria di
politicanti, che non essendo controllati dai cittadini da cui sono eletti,
ma solo ed esclusivamente dal potere centrale, sanno che, se vogliono
restare al posto che occupano, il loro compito è di desolare il
Meridione, in modo che continui a stare sotto i toscopadani e la
burocrazia romana. Le falsificazioni di questa gentaglia non hanno
limiti. Fingono di piangere sui maltrattamenti toscopadani, ma, poi,
quando potrebbero fare qualcosa, si bloccano e fanno finta di non
sapere da dove cominciare. Non esagero per spirito polemico. E'le pura
e semplice verità!
Siamo all’assurdo! A fronte della disoccupazione imperversante, il
Sud ha forti esuberi di risparmio. Le banche sono piene di soldi.
Peraltro gli attuali disoccupati non sono più i contadini e i braccianti
analfabeti, prima reclusi reclusi in campagna dal sottosviluppo
programmato in Padana, e poi sparati a Colonia e a Torino. I giovani di
oggi sono preparati a inserirsi nelle attività più moderne, tanto che
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Nicola Zitara – FORA... 13/10/2002
paesi all’avanguardia, come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la
Germania, la Svizzera, li considerano lavoratori da integrare
immediatamente. Inoltre, da qualche anno l’Unione Europea ha messo
a disposizione del Sud centinaia di miliardi (in termini di ex lire) di
fondi regionali per lo sviluppo, ma essi si guardano bene dall’utilizzarli.
Fanno finta di non sapere come si fa e non preparano i progetti da
inviare a Bruxelles.
Ma questo è il meno. Il più sono i circa 100 mila miliardi che
vengono annualmente drenati al Nord dalle banche milanesi, qui scese
per beccarseli. Eppure non si vede e non si sente un deputato, uno
soltanto di loro, che si opponga a questa forma di imposta coloniale;
che solo muova le labbra per denunziare la cosa! Se la cappa di piombo
che pesa sulla vita e il lavoro dei meridionali da 140 anni, fosse
rimossa, i dieci o dodici milioni di meridionali in età produttiva, ma
tagliati fuori dalla produzione, farebbero presto (soltanto pochi anni) a
toccare e superare la produzione del Nordest Una cosa che oltre tutto
sarebbe nell’interesse degli altri 35 milioni di italiani.
Chiunque abbia studiato un po'd’economia politica sa che le cose
stanno così. Ma non se ne parla. Come non si parla dell’industria
parassitaria che per un secolo ha fatto capo alla Banca d’Italia, ai
signori Agnelli, Pirelli, Crespi e via dicendo, insomma al salotto buono
di Milano. Come non si parla del fatto che questi padroni ottocenteschi
e il sindacato, loro storico alleato, guardano al Sud soltanto per gli
sbocchi coloniali che esso offre, a partire dai libri scolastici per finire
alle opere pubbliche. I nostrani onorevoli tacciono. Tacciono per la
gola, per una Mercedes da cento milioni, per un posto di medico
ospedaliero da assegnare al figlio cazzone! Tacciono perché non
appartengono veramente al nostro popolo. Sono estranei, anzi
stranieri, peggio ancora, mozzi di stalla addetti alle scuderie dei signori
milanesi.
Utilizzando i fondi regionali europei e i nostri stessi risparmi, nei
prossimi quattro anni il Sud disporebbe di ben 500 mila miliardi in
termini di vecchie lire. Con una cifra del genere si può fare la Silicon
Valley! Ma per arrivare a questo ci vuole la guida di uno Stato, uno
Stato nostro, uno Stato indipendente, e non l’azione ostruttiva di uno
Stato nemico. E'necessaria, urgente una vera separazione, e non il
separatismo stronzobossista, tipo separati in casa, in base al quale uno
dei due coniugi mangia e fotte, e l’altro lava i piatti. Se non si arriva
all’indipendenza, i nostri soldi continueranno a viaggiare
telematicamente verso il Nord. Le banche e le finanziarie toscopadane
continueranno a prestarci i nostri stessi soldi, facendoci pagare gli
interessi che loro decidono, affinché noi possiamo comprare le loro
merci.
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Nicola Zitara – FORA... 13/10/2002
No, l’unità d’Italia non ci ha solo impoveriti, ci ha anche rincretiniti.
Il deprecabile evento ci è costato in termini di sangue cinquecentomila,
e forse un milione di morti nella guerra di liberazione, dai padroni
definita brigantaggio; morti ammazzati da baionette italiane, a cui noi
oggi siamo obbligati a inneggiare; morti per i quali non è lecita una
lapide che li ricordi. A questi morti di morte cruenta bisogna
aggiungere i 30 milioni di meridionali (il doppio della popolazione
residente al censimento del 1936) a cui è stato imposto di lasciare il
loro paese e di perdere una patria.
In termini economici, l’unità d’Italia è costata a noi meridionali più
di cinque eruzioni del Vesuvio e più di venti terremoti di Reggio e
Messina. Sei o sette generazioni completamente bruciate! E oggi i
giovani non hanno un lavoro perché – in effetti - la patria così vuole.
La situazione è questa. Tutto il resto è presa per i fondelli. Se i giovani
meridionali non vogliono continuare a essere privati della libertà, e
trovarsi fra dieci anni (il tempo prescritto da Bossi) nella condizione in
cui oggi si trovano i palestinesi, costretti a difendere la propria identità
di popolo lanciando pietre contro i carri armati, bisogna che smettano
di aspettare il miracolo e si mettano subito a fare politica. Per loro
stessi, per i loro figli, che patiranno più di loro, per i morti in difesa
della nostra indipendenza, per i villaggi bruciati e le popolazioni
passate per le armi, per i loro nonni, padri e fratelli, deportati al
servizio di altri, come gli antichi magnogreci ridotti a Roma in
schiavitù, per i nostri campi devastati e resi improduttivi, per le nostre
fabbriche chiuse o rubate, per i nostri risparmi, frutto di sudore e di
sangue, che vengono sprecati e sporcati da capitalisti inetti e degeneri;
per questo e molto altro ancora bisogna che essi – i giovani – decidano
di porre fine a una truffa politica – l’unità - che ci ha portato a una
condizione peggiore di quella che avevano gli Iloti sotto la sferza degli
Spartani.
Coraggio, è l’ora di prendere il vostro destino in mano. Domani
sarebbe troppo tardi!
Nicola Zitara
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lunedì 8 dicembre 2008

MERIDIONALI NEL MONDO

Essi con il loro orgoglio e determinazione hanno saputo farsi onore in tutte le attività intraprese contribuendo allo sviluppo e progresso delle terre ospitanti (superando oltre le difficoltà oggettive anche le diffidenze e preconcetti a volte velati di un razzismo peloso!), si sono distinti in tutto il mondo e si sono fatti apprezzare per le notevoli doti, nel campo dell’Imprenditoria, dell’Arte, della Cultura, Scienza e non ultimo lo Sport. La classe politica meridionale non ha saputo/voluto cogliere questo grande patrimonio intellettuale e lo ha disperso negli anni rendendolo inutilizzabile. Mi viene la tristezza quando penso che molti giovani purtroppo dovranno continuare ad emigrare, a lasciare i loro affetti i profumi della terra sulla quale sono nati. Sono convinto che se una persona nasce in un posto anziché un’altro,un motivo ci deve essere!
Il Partito del Sud , ha fra le molteplici finalità, quella di rimuovere quella classe politica che poco o niente ha fatto per lo sviluppo dell’Italia del Sud e che anzi per sua incapacità ha di fatto contribuito ad allontanarlo. Una classe politica che ha tradito il suo popolo , i suoi elettori che ha permesso ai grandi papaveri di essere paracadutati su un terreno elettorale fertile e sicuro!!
Alimentando all’infinito il clientelismo e il malaffare a danno di tutta la collettività !!
Una cosa è certa, una classe politica nuova, moderna, giovane , lungimirante, ben preparata, stimolata dall’orgoglio di vedere riscattata la propria terra , non può che essere la base di un futuro migliore.
Il Popolo Meridionale tutto, ovunque si trovi, deve ritrovare l’orgoglio di essere tale!
Basta con le discriminazioni regionali Nord/Sud !! Noi non vogliamo essere la ruota di scorta di nessuno! La zavorra di chicchessia, basta con le mortificazioni, noi vogliamo solo e tutto quello che ci spetta.
Noi vogliamo liberarci da una stretta che ci soffoca,vogliamo uscire da uno stato comatoso cronicizzato da promesse mai mantenute. Noi non vogliamo una Comunità Europea che per i prossimi anni intende investire risorse nei Paesi Nord-Africani ed Est-Europei creando una aggressione concorrenziale ai prodotti meridionali. Il Sud Italia al contrario deve essere l’obiettivo principale per uno sviluppo turistico,agricolo,di trasformazione industriale,e soprattutto di potenziamento dei collegamenti portuali,stradali e aereo-portuali a vantaggio di tutta l’area mediterranea e non solo!
Cari Amici,questa non vuole essere solo una semplice lettera di presentazione, ma un appello a tutte quelle persone sensibili ai tanti problemi della propria terra , preoccupati di dare un futuro migliore ai propri figli , nipoti e che operano in tutti i settori dell’economia, dell’informazione ,della cultura e dello sport ,di essere messaggeri di un nuovo modo di affrontare i problemi. Basta con i bizantinismi, meno parole più fatti ! Aiutiamoci, mettiamo al servizio di una buona e orgogliosa causa la nostra esperienza!! Fare qualcosa si può, il Sud ha bisogno di noi!!

Remigio Raimondi

THE SOUTHERN ITALIAN IN THE WORLD

It is comprised of those very people who, through shere pride and determination, have managed to shine honorably, all the while contributing to the growth and progress of the countries which have offered them hospitality. Beyond the expected difficulties, they have also been subject to and fought inordinate racial misconceptions! Despite all, they have earned respect in all fields: Contracting, Art and Culture, Science, and last but not least, Sports. The souther political party was not able / willing to embrace this intellectual patrimony and, over time, allowed it to become useless. It saddens me to think that our youth will continue to emigrate leaving behind their loved one and the very aromas of their native land. I cannot help but feel that one’s place of birth is a matter of destiny and purpose.
The Partito del Sud, , has amongst its many endeavours, the mandate to remove that political party which has done little or nothing to develop Southern Italy. In fact, it may have indeed contributed to the marginalization of its people. A political party who has betrayed its constituents and has allowed the big shots to be parachuted upon a very politically fertile soil. Nurturing its clientism to the nth degree resulting in great harm to the whole.
One thing is for sure: a new political party, young, modern, with great foresight, well-prepared and motivated by the pride to reinherit its heritage is undoubtedly the basis for a brighter future.
The Southerners, wherever they may be, must regain the pride of their heritage.
Enough with regional discrimination of North and South! We do not want to be someone else’s spare tire or trash! We’re done with the humiliation! We want only what is ours!
We want to be free from the hand that chokes us; we want out of the comotose state that promises but never delivers. We do not want a European Community who is intent on investing our resources in the North African countries and Eastern Europe creating aggressive competition for our southern products. Rather, its primary objective ought to be on developing tourism, agriculture, industrialization, and above all, on the opening of communications portals at all levels, on land and air. All this to advantage all the southern areas!
Dear friends, this is not a mere letter of introduction, but an appeal to all those sensitive to the problems of their native land. To all those interested in leaving a brighter legacy for their children and grandchildren. To all those engaged in the various sectors of the economy: communication, culture, sport. Ultimately, to all those who wish to be messangers of a new approach of confronting problems.
Enough bigotry; less words, more actions! Let us help one another; let us place our experience in service to a good and worthwhile cause. We can make a difference! The South needs us!

Sincerely,
Remigio Raimondi
Why a Loaded Donkey?

For those of us who are proud of our southern origin, the Loaded Donkey represents in essence the southern people. Hospitable people with a strong character who, like the donkey, are prepared to meet all and any challenge and make whatever sacrifice is necessary. They are humble, tolerant, patient and dignified people who are prepared to carry whatever load to guarantee themselves the bare necessities of life. However, a warning to the wise: similar to the donkey –when the load they are forced to carry becomes unbearable, they launch kicks in every direction without consideration of who may be in their reach.

Why is it important to recognize oneself in this symbol?

The time has come for change. Less myth and more fact in the best interest of all. Enough with the power house! Politics must represent all, not just the few. Political representation for all is what we need! Let us say no to clientism and neputism. Let us put a stop to unjust elections! Let us block the footman of expansion! Let those incapable of rendering political equality, concern themselves elsewhere. Imagine being underpaid in the few productive businesses, or watching your children be unemployed without hope of finding work whose destiny, at best, is to emigrate or to fall in a life of crime.










Perché un ASINO CON BASTO

Per noi orgogliosi di essere meridionali e meridionalisti, l’ASINO CON BASTO rappresenta in sintesi il popolo del Sud Italia . Un Popolo ospitale pieno di qualità e come l’asino pronto a lavorare sodo e disposto ad affrontare qualsiasi sacrificio
.
Un popolo mite, tollerante, paziente, dignitoso, orgoglioso. Disposto a portare grandi pesi spesso superiori alla sua portata solo per garantirsi un minimo di vita. Ma attenzione, anche L’ASINO CON BASTO ha il suo ORGOGLIO,quando la soma che viene obbligato a portare diventa insopportabile incomincia a sferrare calci in ogni direzione colpendo chiunque si trovi nel suo raggio di azione.

Perché bisogna riconoscersi in questo simbolo ?

La misura è colma, e giunto il momento di cambiare! Meno parole sterili e più fatti concreti nel segno del buonsenso e dell’interesse comune. Basta con le ammucchiate di potere! La Politica deve essere una missione al servizio di tutti i cittadini. Senza privilegi, la Politica non può e non deve essere lo strumento di pochi, impegnati soltanto a sistemare parenti e amici. Diciamo no al clientelismo, no allo scambio di voti, no al nepotismo! Fermiamo i palafrenieri dello sviluppo ad ogni loro livello. Chi non è capace di gestire la cosa pubblica si occupi di altro. Provi in prima persona che cosa significa lavorare sottopagati nelle poche aziende produttive , avere figli disoccupati e senza speranza di avere un lavoro destinati nei migliori dei casi ad emigrare oppure cadere nella stretta mortale della malavita.