lunedì 27 dicembre 2010

Natale! Il ritorno della "meglio gioventù"


di LINO PATRUNO

Natale è il tempo del ritorno dei ragazzi. O quello, col poeta Montale, . I ragazzi sono i figli andati a lavorare fuori, quella che ha dovuto lasciare un Sud con la partenza nel destino. Non è stato sempre così, perché di qui non andava via nessuno, anzi ci venivano. Era prima dell’unità d’Italia, paradiso o inferno che fosse allora questa terra che un giorno tornerà bellissima.

Dell’unità si è parlato, si parla e si riparlerà per i 150 anni. Ma il lavoro che non c’è continua a pesare come una ferita nel gran bel Paese in cui un giovane su tre al Sud non ce l’ha. In cui il 10% della popolazione detiene il 45% di tutta la ricchezza, roba da repubblica delle banane. E in cui i fratelli d’Italia sono piuttosto fratellastri, se quello settentrionale ha un reddito del 40% in più di quello meridionale. Per completare l’incredibile Ingiustizia italiana.

Un tempo si chiamavano emigranti, da quando prendevano i piroscafi per a quando con le valigie di cartone sono stati inghiottiti dai treni per le nebbie. Venti milioni sono stati da fine Ottocento a metà Novecento. Non c’era famiglia che non ne avesse. E ancora oggi molti nostri paesi sono spopolati, ci sono rimasti i vecchi e i bambini. E quelli che sono rientrati a godere della fatica fatta parlano una lingua strana e aprono il negozio di alimentari, piccolo segno di benessere. La loro epopea non è stata mai raccontata come merita, non hanno avuto giustizia neanche con la memoria. Una storia di vinti anche questa.

Ora è l’era di Internet. E i nostri ragazzi nascono col trolley alla mano e il viaggio nel sangue. Vanno e vengono. Conoscono le lingue, prenotano . E preistoria sono i loro bisnonni che spesso non erano mai stati fuori dal loro villaggio, non avevano mai visto una città e il mare. E quando i motori del bastimento cominciavano ad ansimare, era come se una piccola morte scendesse su di loro: più della metà non sarebbero mai più rientrati.

Ma dalle Americhe salvarono l’Italia. Le loro rimesse, i soldi che mandavano a casa, fecero schizzare il valore della lira di carta al di sopra di quella d’oro, mai più avvenuto. Questo non preservò da una feroce tassazione quei denari della fatica e del dolore. E c’è qualche storico nordista odierno che continua a scriverne come traditori e furbi: per stare meglio, dicono, fecero stare peggio gli altri. Ovviamente una infamia, in un’Italia disunita che li costrinse ad andarsene. Ed erano i più forti e capaci, ciò che fece pagare al Sud anche questo impoverimento.

Si è calcolato che le loro rimesse siano state cinquanta volte più alte di tutta la spesa della Cassa per il Mezzogiorno. E anche ora è così, il Sud perde un patrimonio immenso, proprio quello che gli servirebbe per dare qualità ai suoi sforzi di sviluppo. Hanno tutti un titolo di studio, in gran parte laureati, vanno via i cervelli mentre prima andavano via le braccia. E anche se sono più randagi che legati al filo d’erba, gente di mondo, è uno scandalo anzitutto umanitario e poi economico che siano costretti a farlo. Come una fatalità.

Anche ora non è vano ripetere un calcolo che li riguarda. Ne vanno via 50 mila all’anno. E per capire ciò che il Sud regala, basta partire dalla spesa sostenuta dalle famiglie e dalle università meridionali per formarli: fra i 50 mila e i 100 mila euro ciascuno. Senza contare che chi va a lavorare altrove, deve cambiare residenza, spendendo e pagando anche le tasse lì. Il Sud si sacrifica per loro, altri ne beneficiano graziosamente. Anzi chiamandoli pure terroni.

Quando buona parte dell’attuale lavoro del mondo si farà via Internet, allora forse non partiranno più. Perché allora quei cervelli ora pendolari potranno rimanere a casa. Varrà più il loro talento davanti a una tastiera ovunque sia, che un territorio attrezzato per la produzione: proprio quel territorio non competitivo che ora li manda a cercare altrove. Ma nel frattempo una generazione avrà pagato ancòra un prezzo, una generazione di passaggio dal fisso al mobile e non solo telefonicamente. La generazione della precarietà spacciata per flessibilità. La generazione che non può prendere famiglia e casa perché nessuno sa dopo sei mesi di contratto cosa succede.

Ma anche le feste sono cambiate, quei ragazzi staranno un po’ in famiglia ma poi via con gli amici prima di riempire di nuovo il trolley con i jeans dei giramondo e la frittata della mamma. Forse poco a poco perderanno il richiamo della propria terra, diventeranno altro anche da sé e dai loro desideri di un tempo. E ricorderanno il luogo dal quale sono andati via come quello dei curriculum e dell’attesa di una chiamata. Così il Sud sarà sempre meno speranza dei giovani e sempre più delusione dei vecchi. Sarà un addio e un silenzio.
www.linopatruno.com

Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/12/2010

giovedì 23 dicembre 2010

Consegnato il progetto definitivo del Ponte di Messina

21 dic 10 La Società Stretto di Messina ha ricevuto dal Contraente generale Eurolink il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina e degli oltre 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari. Si tratta di oltre 8.000 elaborati progettuali che confermano tutte le impostazioni tecniche ed i costi di costruzione del progetto preliminare redatto dalla Stretto di Messina ed approvato nel 2003 dal Cipe. Il progetto definitivo comprende inoltre le importanti opere deliberate dai Comuni interessati dalla costruzione del ponte, come ad esempio il sistema di fermate ferroviarie intermedie tra Reggio e Messina che consente la concreta attuazione di una moderna rete di trasporti metropolitani dello Stretto, rappresentando un ulteriore valore aggiunto per il Territorio. Il Progetto definitivo accoglie altresì, ai fini anche della sicurezza antisismica delle opere a terra, la nuova normativa del Testo unico delle costruzioni, intervenuta successivamente alla progettazione preliminare. Le prossime tappe, scandite dalla Legge obiettivo, prevedono l’approvazione del progetto definitivo da parte della Stretto di Messina e l’avvio dell’istruttoria da parte del Ministero delle Infrastrutture che si concluderà con l’approvazione da parte del Cipe. “La consegna del progetto definitivo del ponte sullo stretto di Messina, avvenuta nel pieno rispetto dei tempi previsti - ha dichiarato il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli -, segna una tappa fondamentale per la realizzazione dell’opera. La puntualità con cui il progetto è stato definito dimostra la chiara volontà del Governo che ha ritenuto, sin dal suo insediamento, il ponte un opera prioritaria per il Mezzogiorno, per l’Italia e l’Europa, essendo esso un tassello del corridoio Berlino-Palermo. Avremo modo di presentare all’opinione pubblica il progetto che rappresenta un vanto per l’ingegneria e la tecnologia italiane”. “Il progetto definitivo è stato consegnato nei tempi previsti - ha dichiarato l’Amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci -. Tutto il processo è stato seguito e coordinato con grande attenzione dalla struttura tecnica della Società. La conferma delle impostazioni di ordine tecnico ed economico, al netto delle nuove opere e della adozione della recente normativa sulle costruzioni, rappresenta un ulteriore grande risultato e testimonia l’elevato livello della progettazione preliminare svolta dalla Stretto di Messina”. Oltre ai lavori avviati a dicembre del 2009 per la variante di Cannitello, la prima opera propedeutica del ponte a Villa San Giovanni, la progettazione definitiva ha consentito di attivare importati ricadute economiche, con un valore della produzione per l’anno 2010 pari a 110 milioni di euro immessi direttamente sul mercato. Infatti l’avvio delle attività operative da parte del Contraente generale, del Monitore Ambientale e del Project Management Consultant ha comportato oltre 160 contratti con aziende italiane, molte di queste calabresi e siciliane. Queste aziende sono state impegnate sul territorio nella esecuzione delle indagini topografiche e geognostiche, nonché nelle attività di monitoraggio ante operam e nel relativo controllo dei vari lavori. In particolare, è stata completata l’esecuzione di oltre 200 prove geognostiche per la caratterizzazione dei terreni sui quali sorgeranno le strutture del ponte (torri, blocchi di ancoraggio) nonché tutte le strutture previste per i collegamenti alle infrastrutture esistenti in Sicilia e Calabria. Per il monitoraggio ambientale ante operam è stata completata l’installazione di circa 60 centraline per il controllo dell’aria, la realizzazione di circa 60 pozzi di monitoraggio per le acque sotterranee di profondità superiore ai 10 metri e l’installazione di almeno 150 sonde inclinometriche per il controllo geomorfologico del territorio. Al riguardo è stato attivato un portale Web, condiviso con le Autorità competenti centrali e locali, sul quale sono disponibili i dati rilevati dalle stazioni di misurazione. Si tratta di una iniziativa straordinaria perché il monitoraggio copre un’area di 36 km2, ovvero circa 10 volte superiore a quella interessata dai lavori del ponte. E’ bene sottolineare che si tratta di una estensione volontaria delle aree rispetto a quelle previste per legge. L’effetto ‘ponte laboratorio scientifico’ - ha dichiarato Ciucci - è diventato realtà, infatti il complesso delle attività eseguite per le indagini geotecniche svolte con tecnologie d’avanguardia, per le prove di laboratorio, per il sistema di monitoraggio hanno determinato una crescita del livello tecnico del Paese”.

Da Nuova Cosenza.com

lunedì 20 dicembre 2010

Guido Dorso "La Rivoluzione Meridionale "

“No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà. Se il mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l’esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile… “.

La Storia dimenticata !!

giovedì 16 dicembre 2010

IL FEDERALISMO E' SOTTO I NOSTRI OCCHI !

IL FEDERALISMO è SOTTO I NOSTRI OCCHI, FATE GIRARE. URGENTE (dobbiamo informare TUTTI)
pubblicata da Briganti il giorno giovedì 16 dicembre 2010 alle ore 11.46

In trenta anni, sfruttando il sottosuolo calabrese, sono state versate accise per 750 miliardi alla regione Lazio. La necessità, quindi,che la Società Ionica Gas abbia sede legale a Crotone.



Al largo del mare della città di Crotone, da oramai da trenta anni, l'Eni (attraverso l'Agip sino allo scorso anno) estrae gas metano, immettendolo nella rete nazionale.

Si tratta di un quantitativo considerevole: giornalmente, circa 2.400.000 metri cubi (due, tre anni or sono, invece, la produzione era di ben sei milioni di mc al giorno)

L'Eni, nei mesi scorsi, ha deciso di spezzettare il settore gas in tre società: una per il Nord Italia (appannaggio della Padania, perchè l'on. Bossi conosce perfettamente il meccanismo) una per il Centro ed, infine, una per il Sud, la Newco Ionica Gas , con sede operativa a Crotone (da dove l'Eni la Società Madre "succhia" il metano), ma con sede legale ad Ortona, in Abruzzo. E' veramente un assurdo ciò!

Perchè le sostanziose accise relative al gas metano vanno, così, versate nelle casse della regione Abruzzo, dove si trova ubicata la sede legale della Società.

Anzi, un doppio assurdo. Perchè ad Ortona vi è un'altra sede legale, quella relativa al Centro Italia (vale a dire: la"Adriatica Idrocarburi").

Ecco, dunque, la necessità urgente di pretendere che la Società Ionica Gas debba risultare registrata a Crotone, in modo che, un domani, le accise possano essere versate nelle casse della Regione Calabria.

Sono delle somme non trascurabili che vanno versate nelle casse delle regioni interessate, mese dopo mese, in base ai metri cubi estratti nel corso dell'anno precedente.

In Emilia e Romagna l'accise per il gas metano è di euro 0,0051646 per ogni metro cubo. Secondo calcoli da noi fatti, e considerando che la produzione giornaliera nella sede di Crotone è di due milioni e quattrocentomila metri cubi, la Società Ionica Gas dovrebbe versare all'incirca 4 milioni e mezzo di euro. Ossia, all'incirca 9 miliardi delle vecchie lire.

E poichè per trenta anni l'estrazione giornaliera si è attestata sui sei miloni di mc , quante centinaia e centinaia di miliardi, sfruttando il sottosuolo calabrese, sono state versate alla Regione Lazio, dove ha la sede legale l'Eni?



Ebbene sarebbe ora che le autorità locali e quelle regionali intervenissero, con cortesia ma con decisione, al fine di potere godere tutti noi di simili privilegi

In Lucania, infatti, grazie alle accise versate dalle varie Società petrolifere, ogni cittadino economizza euro ottanta all'anno per quanto riguarda il consumo del gas in seno alla propria famiglia.

Perchè mai, dunque, concedere alla regione Abruzzo ciò che spetterebbe di diritto alla regione Calabria?

Una società del luogo - la Biomasse Italia s.p.a. - proprietaria nella nostra zona di due impianti per la produzione di energia elettrica, partendo dalle biomasse, ha avuto la sensibilità, senza l'intervento di nessuno, di iscrivere la Società nei registri della nostra Regione.

Ma siamo certi che, se invitata e sollecitata, tale sensibilità si riscontrerà anche nella Società Ionica Gas.



Rodolfo Bava

domenica 5 dicembre 2010

NDP niente di Personale “Prove tecniche di ammucchiate”


NDP niente di Personale “Prove tecniche di ammucchiate”
Di Remigio Raimondi (ORGOGLIO MERIDIONALE)


Le grandi ammucchiate contro il Sud,si stanno formando,la storia purtroppo si ripete e ancora una volta possiamo registrare un’altra occasione perduta !
Sono state scritte tante belle parole,tanti buoni propositi,sono nati tanti movimenti meridionalisti così tanti che ho perso il conto! Troppi e inutili. Il potere ancora “divide per imperare”. Molti “neo patrioti” per paura di non essere rieletti col rischio di perdere la poltrona e tutti i privilegi,ed altri che sono perdenti e trombati da sempre si sono inventati un proprio partito del sud per poi andare alla corte dei grandi e offrirgli il deretano. Perché non hanno capito che basterebbe mettersi insieme per affrontare compatti i pericoli che vengono dalla politica nazionale?Pericoli che si stanno addensando da Nord come nubi nere e minacciose? Avrebbero ottenuto lo stesso risultato personale ma soprattutto avrebbero salvato la faccia, credibilità e finalmente avviato un processo di recupero dell’Orgoglio di essere meridionali. .No! Troppo difficile!! E’ molto più facile leccare!! Mala tempora currunt !!
Lascio a voi commentare i propositi che alcuni pseudo movimenti del Sud stanno tramando contro il Popolo Meridionale !!

IO SUD Adriana Poli Bortone “Orgogliosamente terrona” si ma con FLI UDC MPA PDL ..avanti !! tutto fa brodo ! Ma quale Autonomia dai partiti nazionali che hanno distrutto il Sud ? La Puglia in primis !

PARTITO DEL SUD Beppe de Santis,Antonio Ciano “Destra e Sinistra sono solo indicazioni stradali “ BALLE !! Sono solo ex comunisti , niente di male ma allora perché se sono ex continuano a tenere il timone a sinistra ? Perché corteggiano il PD? Cosa ha riferito l’ambasciatore Emiliano al compagno Bersani dopo l’incontro di Palermo ? Beppe de Santis verrà candidato in un collegio sicuro ? Gli auguro il Mugello dove viene eletto anche un manico di scopa !

NOI SUD Iannacone ,Belcastro,Milo,Sardelli Scotti,Gaglione,Parfidia (che bella gioventù ! Dio ci salvi!) Il Mezzogiorno ha bisogno di un riscatto che parta dal basso e renda concreto il tema delle “saldature” sociali, culturali ed economiche. Il Sud deve ritrovare quella sua vocazione territoriale, quel senso di appartenenza e comunità senza il quale sarebbe destinato all’isolamento e alla paralisi. si è liberi perché autonomi, si è autonomi perché vi è libertà.
Per questo affermiamo che il luogo privilegiato di questi concetti è l’alleanza di centro destra nella quale ci riconosciamo e ci ispiriamo! Cioè il PDL.
Bravi ! Non avete capito niente !

FORZA SUD Da tempo siamo abituati ai colpi di scena del politico siciliano pupillo di Berlusconi, Gianfranco Micciche. L’ultima novità è la creazione di un partito nato dagli scissionisti del PDL in Sicilia, Forza Sud, che nel nome ricalca il periodo d’oro del centro destra berlusconiano-. Il neo-partito Forza Sud è la longa manus del cavaliere nel sud Italia ! Ne fa il contraltare della Lega Nord e, di conseguenza, designa Miccichè come il paladino del Mezzogiorno, speculare a Umberto Bossi. Tutto rosa e fiori!!
Se Miccichè avesse capito che Bossi è il capo del partito antiunitario,padano secessionista,egoista e razzista che non perde occasione per offendere la dignità dei meridionali come potrebbe appoggiare il PDL che a sua volta e legato a Bossi da un amore compiacente ,complice beffardo e indissolubile ??,

.

IO RESTO IN CALABRIA E' una rivoluzione possibile, se siamo uniti, se la facciamo insieme !
Pippo Callido

Uniti con chi ? De Magistris Di Pietro Beppe Grillo ? No grazie !!

MPA Lombardo FLI, UDC, API, LD, e anche PD perché no ? chi più ne ha più ne metta !!

La Basilicata, la ragione che unisce l’Italia



4 dicembre 2010
By Meridionalismo

Di Stefano Lo Passo

In tempi di lega e crisi lo scenario nel Mezzogiorno d’Italia appare quanto mai oscuro. I dati Svimez evidenziano il rischio estinzione dell’industria (-15,8%), l’agricoltura arretra di cinque punti percentuali e la disoccupazione sfiora il 24%, in pochi anni si rischia di grattare il fondo. Per tutta risposta lo stato Italiano continua a spostare le risorse destinate al Sud al centro Nord ed a ripartire in maniera squilibrata i fondi nazionali (vedi i fondi FAS ed i fondi CIPE) tra la quasi totale indifferenza della classe politica eletta nei collegi elettorali del Mezzogiorno. Gli uomini posti ai vertici istituzionali del Sud dimostrano sempre più di esser asserviti a poteri a cui poco o niente interessa delle sorti del Sud.

A riprova che la causa di tale disastro sia la politica nazionale sfavorevole al meridione c’è l’evidenza che alcuna regione del Sud fa eccezione e la classifica in base alla ricchezza stillata da Eurostat [2], delimita un quadro ben preciso rappresentativo della spaccatura interna al paese che non si sarebbe mai potuta avere se non con una precisa volontà discriminatoria, ormai cronica e indicativa dell’intramontabilità di taluni poteri durante la storia patria; basti pensare come in soli vent’anni sia stata livellata l’economia della Germania dell’Est a quella dell’Ovest e come invece in 150 anni sia stato affossato l’apparato finanziario, industriale e bancario del Meridione d’Italia.

Tuttavia, se la volontà politica ha voluto premiare il settentrione su tutti i livelli di sviluppo, il meridione ha senz’altro avuto in dono incredibili risorse naturali che se tramutate in denaro, e riutilizzate sul territorio, potrebbero capovolgere l’attuale situazione Italiana.

La Basilicata è lo scrigno del Mezzogiorno e non solo; nel sottosuolo del Parco Nazionale della Val d’Agri vi è il più grande giacimento petrolifero dell’Europa continentale (sesto nel mondo) in cui sono stimati esser contenuti 465 milioni di barili di petrolio di ottima qualità. Da circa quindici anni è iniziata l’estrazione ad opera di Eni\Agip e Total con 47 pozzi aperti che estraggono ogni giorno 92.900 barili, quasi il 9% dell’intero fabbisogno Nazionale [3]. Considerando che l’attuale prezzo al barile è di 90$, la Basilicata “versa” alle casse dello stato Italiano ed in quelle degli azionisti privati circa tre Miliardi e mezzo di dollari l’anno, ovvero circa due miliardi e mezzo di euro ai quali va tolto il 7% di royalties destinati alle comunità locali (nel 1958 Enrico Mattei considerava ‘un insulto’ il 15 % che le Sette Sorelle versavano ai Paesi produttori e parlava di reminiscenze imperialistiche e colonialistiche della politica energetica).

Facendo i dovuti conti è come se ciascuno dei 588.000 cittadini lucani versasse all’erario Italiano quattro milioni di euro l’anno, insomma la regione con i cittadini più solidali nei confronti del paese sono proprio loro, i Lucani, e non i Lombardi , i Veneti e gli altri cittadini del Nord, come la CGIA di Mestre, fervente sostenitrice del federalismo fiscale, tramite il suo segretario Giuseppe Bortolussi ha sostenuto in un recente dossier evidentemente calibrato ad hoc per far risultare ciò che si voleva. E’ altrettanto chiaro che il federalismo fiscale proposto dalla lega calzerà a pennello ai bisogni del settentrione d’Italia permettendo loro di bloccare le uscite lì dove si è forti (naturalmente parliamo dei profitti del settore industriale e bancario) e di fare cassa comune con le regioni del Sud lì dove sono scarsi ( es. idrocarburi). Si ruba ai poveri per dare ai ricchi.

A collaudare tale tesi abbiamo osservato che nel gruppo di lavoro che si occupa di perequazione (livellare gli introiti regionali provenienti dal fondo comune in maniera solidale alle regioni più bisognose) i due coordinatori sono persone di fiducia di Giulio Tremonti e di Roberto Formigoni e i tre rappresentanti delle Regioni sono nominati da Liguria, Emilia Romagna e Lazio; in questo modo il termine federalismo solidale può servire solo a lavare la coscienza di quanti, tanto al Nord quanto al Sud, stanno svendendo il Mezzogiorno alle mafie.

La Basilicata pur producendo mediante il petrolio enormi entroiti per l’intero paese è, secondo le dichiarazioni dei redditi, la penultima regione per povertà con un tasso che supera il 17% di indigenti ed una emigrazione che raggiunge le 4000 unità annue su una popolazione di 588.000. Come se questo non bastasse la presenza di pozzi di petrolio ha consentito allo stato l’espropriazione di vasti appezzamenti di terreno per cifre irrisorie, terreni che producevano aglianico, olio, frutta. Il verificarsi di incidenti, sempre senza colpevoli, ha provocato numerose a consistenti perdite di greggio nei terreni e nei corsi d’acqua che hanno portato anche un aumento dei casi di cancro. In Basilicata si può provare l’ingiustizia e l’ipocrisia di questo sistema Italo-legista da sempre in mano ai grossi gruppi economici con sede nel Nord del paese e che mediante le organizzazioni criminali tengono sotto controllo le masse meridionali.

sabato 27 novembre 2010

Tra nord e sud palme e veleni

di LINO PATRUNO

È vero, Nord e Sud sono diventati ciò che prima erano destra e sinistra. La versione aggiornata. Così questa fetida questione dell’immondizia di Napoli. Si chiede che possa essere smaltita da altre regioni, e sùbito la Lega reagisce: al Nord mai.

A occhio e croce si può capirli, anzi anche alcune regioni del Sud hanno risposto così, loro l’hanno creata e loro se la tengano. Poi però ci sono una decina di inchieste giudiziarie a dimostrare come le discariche campane siano stracolme di rifiuti soprattutto del Nord. E rifiuti speciali, ipocrisia per dire veleni micidiali tipo amianto, diossina, cianuro. Fatti arrivare dalla camorra a un prezzo otto volte più basso. Almeno 40 tir a settimana, dice niente il film ? E la gente lo sa, le barricate a Terzigno non sono la solita cialtronata della solita plebe meridionale anarchica e cenciosa.

A guadagnarci non è solo la criminalità. Ci guadagna anche la politica dagli opachi rapporti con la criminalità. E del resto, la storia si ripete. Ai tempi della Cassa per il Mezzogiorno, invece di far crescere al Sud le piccole imprese, quelle legate alle produzioni del territorio, ci mandarono i grandi impianti inquinanti (siderurgia, chimica, raffinazione). Che non solo distrussero una terra e l’anima di un popolo. Ma non lasciarono una lira di reddito, perché i loro semilavorati tornavano al Nord per alimentare quell’industria (come l’acciaio per le auto). Lasciarono invece un cimitero di illusioni quando la crisi petrolifera li schiantò. E danni che chissà se i secoli cancelleranno, al di là delle travagliate bonifiche. Come sanno a Manfredonia e Brindisi.

Non avviene solo in Italia. Avviene normalmente fra i ricchi e i poveri, le terre derelitte ridotte a discarica di tutto. E poi, questo è un mondo senza più confini, di industrie senza patria, di capitali senza nomi, di luoghi senza memoria. In cui Internet trapassa beffardamente tutti. In cui non ci sono Sud e Nord isolati fra loro. E in cui nessun Nord e nessun Sud possono innalzare barriere come ci si illude di fare fra Paesi virtuosi e Paesi canaglia. Non c’è Sud che non sia stato creato anche da un Nord. E non c’è Nord che non sia implicato in un Sud.

Così la questione della mafia. Roberto Saviano afferma che la Lega con la camorra, e apriti cielo. Di sicuro eccede col verbo, chissà se per caso. Ma era stato Leonardo Sciascia a dire che la linea della palma salirà sempre, nel senso che prima o poi la palma avrebbe attecchito anche in climi imprevisti: diciamo la . Quel tempo è arrivato, per la verità da decenni, perché mica la camorra i suoi soldi li va a investire dove non rendono. E gli affari si fanno dove c’è più ricchezza. Non c’è stata molta attenzione, o prevenzione, nel vedere cosa succedeva in almeno vent’anni, quelli del governo locale della Lega. Chi otteneva gli appalti? Chi vinceva le gare? E chi erano questi fortunati che in tempi di magra avevano tanto contante e tanto ardire di investire? Con quali banche ad occuparsene?

Questo non vuol dire affatto complicità. Vuol dire che se le mafie sono state fatte crescere al Sud lasciato nelle loro mani, si ingrossano anche perché ci sono Nord con occhi semichiusi. O semiaperti. E che le mafie si combatterebbero meglio al Sud se i loro capitali insanguinati non si rifugiassero al Nord. Dove non è solo una bestemmia dire che alimentano l’economia, nel senso che contribuiscono ad arricchirla. Depredano a Sud e seminano a Nord. Quando invece è risaputo che si soffocano soltanto paralizzandone i patrimoni.

Ora non dovrebbero ripetere al Nord l’errore fatto al Sud, sottovalutarne la presenza con la spocchia dell’economia sana invulnerabile alla mela marcia. O dicendo altezzosamente che non è roba loro ma cosa nostra. E’ roba nazionale. E non perché qualche boss di serie B sia stato mandato lassù in soggiorno obbligato (sarebbe peggio, perché lo sapevano). Ma perché sono roba nazionale molte più cose che il signor Bossi non ritenga. Affidandosi al federalismo per apporre una sbarra di egoismo fra le regioni.

E’ nazionale la rete infinita che, nonostante tutto, lega questo Paese. Dai milioni di meridionali al Nord alle migliaia di aziende settentrionali al Sud (compresa quella che lavora alla interminabile autostrada Salerno-Reggio Calabria, se proprio insistono a parlare). Dai soldi delle tasse dei settentrionali che scenderebbero al Sud alla spesa dello Stato molto più alta al Nord che al Sud, restituzione con gli interessi (dati del ministero dello Sviluppo). Ultime opere finanziate: centinaia di milioni su, qualche decina di milioni giù. E poi i voti raccolti al Sud per consentire al Nord della Lega di stare al governo.

Conclusione: l’Italia è unita non solo quando fa comodo. Anche se i lavori in corso per separare i cosiddetti buoni dai cosiddetti cattivi procedono alacremente.
www.linopatruno.com

Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno

Tra nord e sud palme e veleni

Tra nord e sud palme e veleni

di LINO PATRUNO

È vero, Nord e Sud sono diventati ciò che prima erano destra e sinistra. La versione aggiornata. Così questa fetida questione dell’immondizia di Napoli. Si chiede che possa essere smaltita da altre regioni, e sùbito la Lega reagisce: al Nord mai.

A occhio e croce si può capirli, anzi anche alcune regioni del Sud hanno risposto così, loro l’hanno creata e loro se la tengano. Poi però ci sono una decina di inchieste giudiziarie a dimostrare come le discariche campane siano stracolme di rifiuti soprattutto del Nord. E rifiuti speciali, ipocrisia per dire veleni micidiali tipo amianto, diossina, cianuro. Fatti arrivare dalla camorra a un prezzo otto volte più basso. Almeno 40 tir a settimana, dice niente il film ? E la gente lo sa, le barricate a Terzigno non sono la solita cialtronata della solita plebe meridionale anarchica e cenciosa.

A guadagnarci non è solo la criminalità. Ci guadagna anche la politica dagli opachi rapporti con la criminalità. E del resto, la storia si ripete. Ai tempi della Cassa per il Mezzogiorno, invece di far crescere al Sud le piccole imprese, quelle legate alle produzioni del territorio, ci mandarono i grandi impianti inquinanti (siderurgia, chimica, raffinazione). Che non solo distrussero una terra e l’anima di un popolo. Ma non lasciarono una lira di reddito, perché i loro semilavorati tornavano al Nord per alimentare quell’industria (come l’acciaio per le auto). Lasciarono invece un cimitero di illusioni quando la crisi petrolifera li schiantò. E danni che chissà se i secoli cancelleranno, al di là delle travagliate bonifiche. Come sanno a Manfredonia e Brindisi.

Non avviene solo in Italia. Avviene normalmente fra i ricchi e i poveri, le terre derelitte ridotte a discarica di tutto. E poi, questo è un mondo senza più confini, di industrie senza patria, di capitali senza nomi, di luoghi senza memoria. In cui Internet trapassa beffardamente tutti. In cui non ci sono Sud e Nord isolati fra loro. E in cui nessun Nord e nessun Sud possono innalzare barriere come ci si illude di fare fra Paesi virtuosi e Paesi canaglia. Non c’è Sud che non sia stato creato anche da un Nord. E non c’è Nord che non sia implicato in un Sud.

Così la questione della mafia. Roberto Saviano afferma che la Lega con la camorra, e apriti cielo. Di sicuro eccede col verbo, chissà se per caso. Ma era stato Leonardo Sciascia a dire che la linea della palma salirà sempre, nel senso che prima o poi la palma avrebbe attecchito anche in climi imprevisti: diciamo la . Quel tempo è arrivato, per la verità da decenni, perché mica la camorra i suoi soldi li va a investire dove non rendono. E gli affari si fanno dove c’è più ricchezza. Non c’è stata molta attenzione, o prevenzione, nel vedere cosa succedeva in almeno vent’anni, quelli del governo locale della Lega. Chi otteneva gli appalti? Chi vinceva le gare? E chi erano questi fortunati che in tempi di magra avevano tanto contante e tanto ardire di investire? Con quali banche ad occuparsene?

Questo non vuol dire affatto complicità. Vuol dire che se le mafie sono state fatte crescere al Sud lasciato nelle loro mani, si ingrossano anche perché ci sono Nord con occhi semichiusi. O semiaperti. E che le mafie si combatterebbero meglio al Sud se i loro capitali insanguinati non si rifugiassero al Nord. Dove non è solo una bestemmia dire che alimentano l’economia, nel senso che contribuiscono ad arricchirla. Depredano a Sud e seminano a Nord. Quando invece è risaputo che si soffocano soltanto paralizzandone i patrimoni.

Ora non dovrebbero ripetere al Nord l’errore fatto al Sud, sottovalutarne la presenza con la spocchia dell’economia sana invulnerabile alla mela marcia. O dicendo altezzosamente che non è roba loro ma cosa nostra. E’ roba nazionale. E non perché qualche boss di serie B sia stato mandato lassù in soggiorno obbligato (sarebbe peggio, perché lo sapevano). Ma perché sono roba nazionale molte più cose che il signor Bossi non ritenga. Affidandosi al federalismo per apporre una sbarra di egoismo fra le regioni.

E’ nazionale la rete infinita che, nonostante tutto, lega questo Paese. Dai milioni di meridionali al Nord alle migliaia di aziende settentrionali al Sud (compresa quella che lavora alla interminabile autostrada Salerno-Reggio Calabria, se proprio insistono a parlare). Dai soldi delle tasse dei settentrionali che scenderebbero al Sud alla spesa dello Stato molto più alta al Nord che al Sud, restituzione con gli interessi (dati del ministero dello Sviluppo). Ultime opere finanziate: centinaia di milioni su, qualche decina di milioni giù. E poi i voti raccolti al Sud per consentire al Nord della Lega di stare al governo.

Conclusione: l’Italia è unita non solo quando fa comodo. Anche se i lavori in corso per separare i cosiddetti buoni dai cosiddetti cattivi procedono alacremente.
www.linopatruno.com

Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno

"Zeitgeist" sottotitolato in italiano.Buona visione !!

lunedì 8 novembre 2010

Il tricolore del Nord il tricolore del Sud

di Lino Patruno

Facciamoci caso. Appena il Sud alza la voce, qualcuno si indigna perché si comprometterebbe il "senso d'identità nazionale". Insomma il Sud non più muto minaccerebbe l’Unità d’Italia proprio mentre se ne celebrano i 150 anni. Strano che nessuno si sia inalberato quando dritto dritto di secessione parlava la Lega Nord. Anzi, per dimostrare la parità di trattamento, la si è fatta accomodare con tutti gli onori al governo.
E strano che si sia gridato allo scandalo per un tricolore bruciato a Terzigno nella rivolta della monnezza, mentre è solo folklore il tricolore vilipeso ogni minuto da Bossi e compagni.
Il Sud che parla non va ascoltato, ma messo sùbito a tacere come neoborbonico, nostalgico di quell’innominabile Regno del Male. E il Sud che parla non vorrebbe migliorare il suo futuro, ma tornare al suo infame passato. Così qualsiasi libro di storia diversa da quella finora raccontata non è storia ma delirio, come se qualcuno avesse il monopolio della storia. Con la classica domanda: ma a che serve? Se non ad aprire gli occhi sulla storia, dovrebbe servire a capire ciò che bolle nel ventre del Sud.
Capire prima di dire, zitto tu che sei sporco e cattivo. Capire prima di accusare il Sud di minacciare un’Unità dalla quale è fuori.
E poi, squilibri fra aree ci sono in tutta Europa, altrimenti non ci sarebbero gli interventi per eliminarli. Ma non risulta che altrove gli abitanti meno ricchi siano considerati esseri inferiori cui non concedere nemmeno la parola. La Germania, per dire, sempre sbattuta in faccia al Sud, imparate da loro. Per portare l’Est riunificato al livello dell’Ovest ha speso cinque volte quanto speso dalla Cassa per il Mezzogiorno: cinque volte. Ma dopo vent’anni le differenze di reddito sono più o meno pari alle nostre. Eppure i territori dell’Est sono considerati i più colti e chic del Paese. E se finora la parità non è stata raggiunta, nessuno si è sognato di dire che dipende dalle persone e non dalle politiche adottate.
Ora il ministro Tremonti, che non va a cena con i neoborbonici, dice che per il Nord e il Sud non ci può essere la stessa ricetta economica. Il Nord deve competere con l’Europa e il mondo, il Sud deve competere per avvicinare il Nord. Purtroppo 150 anni dimostrano che i piani "speciali" per il Sud sono sempre stati forme tardive (e inefficaci) di riparazione per tacitare la coscienza: se i buoi sono usciti dalla stalla, inutile riparare la porta. Non andavano fatte politiche nazionali che danneggiassero il Sud, questa la verità. E dall’Unità in poi è sempre andata così, come ammettono ora anche molti storici con la puzza al naso. Un esempio a caso, la" svalutazione competitiva" della lira: se ne teneva giù il valore per favorire le esportazioni a basso prezzo. Una manna per gli industriali del Nord, una iattura per la gente del Sud che con quella lira svalutata si impoveriva.
Il problema è trovare il punto di svolta per il Sud. E’ innescare la scintilla della ripartenza, come se fosse il Bari di Ventura. Ricordando sempre come sia imbarazzante rispondere a chi obietta a modo suo sconcertato: ma state ancora lì, nonostante tutti i soldi che vi abbiamo dato? Tutti gli Istat, le Svimez, le relazioni storiche dello stesso ministero di Tremonti dimostrano che questi soldi non sono mai stati in aggiunta al normale. E che, di riffa o di raffa, al Nord ne è stato dirottato il grosso. Gli hanno creato un mercato comodo, protetto, garantito per i suoi prodotti. E hanno addomesticato il consenso politico per continuare così. Ma vai a scalfire il pregiudizio.
Mezzo Paese non sopporta l’altro mezzo, altro che " senso d'identità nazionale".

Ma dovrebbe essere il Sud a cominciare a dire cosa gli serve. Cominciare a dire che non vuole più uno statalismo senza Stato come finora: vi mando i soldi (un inganno) ma non vi faccio le strade, non vi do i treni puliti e veloci, non vi combatto la criminalità, non vi alleggerisco la burocrazia, non vi commissario i sindaci che trascurano la raccolta differenziata dei rifiuti. Basta che consumiate. Lo statalismo senza Stato è la peggiore istigazione per la cattiva amministrazione al Sud.
Ora pare che l’ennesimo "Piano per il Sud" preveda le grandi opere: ma sono le stesse attese da una vita. Con pochi progetti ma ponderosi e interregionali. Va bene. Ricordando, per dovere igienico, che la Salerno-Reggio Calabria è ancora lì perché, chiuso un cantiere, mancano sempre i fondi per l’altro. E ricordando che la prima scintilla può venire dalla detassazione degli investimenti al Sud, sempre sventolata ma mai contrattata seriamente a Bruxelles. Ma se anche questo santo e questa festa passeranno, resteranno gli indici puntati sulla vergogna del Sud. Dimenticando che senza Sud non cresce l’Italia. E che allora davvero il federalismo trionferà: ciascuno si tiene il suo, tranne voti e consumi del Sud. Alla faccia dell’Italia unita.


Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno

giovedì 28 ottobre 2010

Dopo i fondi Fas anche gli Incentivi 488 spostati da Sud a Nord


Dopo i fondi Fas anche gli Incentivi 488 spostati da Sud a Nord
Di Valerio Rizzo

ROMA – Ancora non sono finite le polemiche per i famosi fondi Fas, i fondi europei per lo sviluppo del Mezzogiorno, che il governo ha spostato da sud a nord per finanziare grandi opere ed aziende settentrionali e addirittura per pagare le multe sulle quote latte degli allevatori veneti.


Ma ecco che scoppia un nuovo caso: stiamo parlando dei cosiddetti “incentivi 488” chiamati così poiché prendono il nome dalla legge che li ha generati.
Tali aiuti economici furono rinnovati dal Governo Prodi, nel 2008, che introdusse anche un controllo governativo sulla spesa.
Questi fondi, destinati al Sud, per un totale di 150 milioni, dovevano servire per sviluppare e incentivare l’industria meridionale, e invece hanno preso tutt’altra direzione!
Il governo ha deciso di destinarli non solo all’industria del Nord, ma anche per il finanziamento dell’industria bellica degli armamenti.
Le regioni che riceveranno questo “regalo” sono la Lombardia e il Veneto.
Ma cosa è successo? Il 4 maggio del 2010, il giorno in cui il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, aveva lasciato il suo incarico a causa dello scandalo sulla casa al Colosseo, firmò anche di fretta e furia tale decreto che poi fu regolarmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 settembre scorso.
Perché sottrarre questi fondi che erano stati destinati allo sviluppo del Mezzogiorno?
Pino Aprile nel suo libro “Terroni” parla continuamente di fondi e investimenti che da 150 anni vengono dirottati nelle regioni del Centro-Nord a discapito del Sud; l’interrogativo è: siamo sicuri che convenga alla “Padania” separarsi dal resto del Paese?

Fonte:Infooggi

Sono indignato !!

Oggi a Montelepre viene riesumata dopo 60 anni la salma del bandito Salvatore Giuliano,
il cimitero e interdetto a tutti tranne che ai magistrati ,medici,periti,tecnici del dna,familiari (ammesso che ne esistano ancora !)uomini di scorta,giornalisti televisivi e della carta stampata.......perchè si vuole indagare se il corpo del celebre bandito sia veramente il suo.. sigh ! boh ! Nel caso la ricerca confermasse o smentisse la proprietà delle ossa,mi chiedo : che cazzata e questa ? Perchè si perde tempo e denaro che non porta nessun aiuto ai cittadini che aspettano risposte ai loro problemi proprio dalle autorità che oggi sono impegnati ad emulare i famosi telefilms Cold Case,Bones,CSI etc...poveri noi !!!!!!

La storia può essere manipolata ma la verità no!!

martedì 26 ottobre 2010

Lettera al Nord

Quel Nord che ha educato i Meridionali alla mediocrità !

Di Pino Aprile
Giornalista, autore di Terroni (Piemme editore)

"Ma le sembra il momento di raccontarlo?", mi ha chiesto, in un dibattito alla radio, uno dei nostri maggiori storici, a proposito del mio Terroni, tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali. Mi son cascate le braccia e ho risposto: «Sono passati 150 anni, professore, e ancora non avete trovato il momento giusto per dirci come sono andate davvero le cose? Le nostre cose. Ho fatto elementari, medie, superiori, ho cambiato tre facoltà universitarie (abbandonate per il giornalismo): avessi trovato un rigo sulle stragi compiute al Sud dai piemontesi per unificare l'Italia. Stupri, torture, esecuzioni e incarcerazioni di massa; il saccheggio delle risorse del Regno delle Due Sicilie, la chiusura, persino a mano armata e sparando sugli operai, delle aziende, fra cui i più grandi stabilimenti siderurgici del tempo in Calabria, a Mongiana, o le più grandi officine meccaniche a Pietrarsa (Napoli), studiate da tutti i paesi industrializzati contemporanei. Venne distrutta un'economia che stava costruendosi un futuro ed ebbe solo un passato». Mi è stato anche detto che il sorprendente successo di Terroni sta generando un movimento di popolo, una sorta di leghismo del Sud, simmetrico e opposto a quello di Bossi e complici. Ma è una immeritata sopravvalutazione del libro, il cui risultato è conseguenza, non causa, di sentimenti e risentimenti ormai diffusi e in crescita al Sud. Ripeto: ci sono libri che cambiano la gente e la storia, ma Terroni non è fra questi. Mio padre non si chiamava Giuseppe e non faceva il falegname e io sono nato di febbraio. E pur avendo portato la barba per anni, sono mai stato a Treviri. Salviamo almeno le proporzioni, cercando però di non esagerare all'incontrario. «Lei non è uno storico», mi è stato rimproverato. Appunto, sono giornalista, pratico la professione che consiste nell'entrare negli argomenti con curiosità e tecniche di divulgazione. Vale per la cronaca, l'economia, lo sport, la politica, e persino (può capitare, bisogna farsene una ragione) la storia. Insomma, se ci hanno detto che il Sud, al momento dell'Unità, era povero, arretrato e oppresso e scopro che non era vera nessuna delle tre cose, lo dico o no? Lo dico. E arrivo pure buon ultimo. Non era povero, e ce lo avevano spiegato giganti del meridionalismo, da Giustino Fortunato (alla fine, disse che si stava meglio con i Borbone), a Francesco Saverio Nitti (da presidente del Consiglio, scoprì che quando si fece cassa comune, i due terzi dei soldi all'Italia unita li aveva portati il Sud, e il resto d'Italia messo insieme provvide all'altro terzo), ad Antonio Gramsci. E lo ha ora dimostrato il Cnr, con lo studio sulla ricchezza prodotta, regione per regione, anno per anno, dal 1861 al 2004. Non c'era differenza fra Nord e Sud e ci vollero ottant'anni di discriminazione e rapina per concentrare nel meridione tutta la povertà del paese. Ma, pur nella ferocia dei tempi, la distribuzione di quella pari ricchezza era tale che mentre dal Nord si emigrava a milioni, dal Mezzogiorno no. In millenni la gente cominciò ad andar via dal Sud solo dopo l'Unità e la creazione di quella che poi fu chiamata Questione meridionale. Prima il sud era sempre stato terra di immigrazione, in cui erano arrivati popoli da ogni dove. E non era arretrato. Si usa ricordare che mentre Piemonte e Lombardia avevano una vasta rete ferroviaria, il Sud, che pure era stato il primo a far viaggiare i treni, era rimasto indietro. Un confronto disonesto: se quelle regioni del Nord non hanno sbocco sul mare, il Regno delle Due Sicilie, con migliaia di chilometri di coste, aveva programmato decenni prima lo sviluppo dei commerci via mare, dotandosi della seconda flotta commerciale del continente; Napoli era la terza capitale europea, partoriva brevetti e nuove discipline (vulcanologia, archeologia, economia politica...). Se ricordi queste cose, ti rimproverano di essere nostalgico borbonico (non è; ma anche fosse?), monarchico (boom! Nemmeno se sul trono ci fossi io!), e di descrivere quel Sud bello e perduto come un Eden (il solito Galli Della Loggia, ma non solo), mentre c'erano i cafoni, le plebi. Vero, come nelle contemporanee Parigi dei Miserabili di Hugo e Londra di Dickens. E se le altrui eccellenze fanno dimenticare le plebi, le plebi meridionali cancellano le eccellenze. Quanto all'essere oppressi (in quel Sud tomba di Pisacane, fratelli Bandiera e oppositori indigeni), Lorenzo Del Boca rammenta che a giustiziare il maggior numero di patrioti italiani non fu l'Austria, ma il Piemonte. Ai meridionali, la liberazione per mano savoiarda costò centinaia di migliaia di morti (Civiltà Cattolica scrisse: un milione), con paesi rasi al suolo e la gente bruciata viva nelle case, dopo il saccheggio e gli stupri. Tutti «briganti»! Cominciò allora quella «educazione alla minorità» che indusse i meridionali ad accettare un ruolo subordinato e certi settentrionali a ritenersi italiani meglio riusciti, con più diritti. Ma se mi dicono che il paese fu unito da mille idealisti nordici che liberarono «quelli là», tuttora fannulloni e delinquenti, nonostante ci si sveni per loro da 150 anni, ti meravigli se non li sopporto più e divento leghista? E se sono pure razzista e li chiamo «porci» (Bossi), «topi da derattizzare» (Calderoli, come Goebbels), «merdacce mediterranee» (Borghezio), «cancro» (Brunetta). Sconfitta la Germania di Hitler, fu indetta una conferenza stampa per comunicare la fine del nazismo e la liberazione dell'Europa. «Un passo avanti per la civiltà?», chiese un giornalista. «Cosa? Civiltà? Bella idea, qualcuno dovrebbe cominciare», fu la risposta. Cosa? Unità d'Italia? Bella idea, qualcuno dovrebbe cominciare. Almeno dopo 150 anni, visto che è stato fatto un Paese disunito: in una sua parte fornito di infrastrutture, autostrade, treni ad alta velocità; e in un'altra ci sono oggi mille chilometri di ferrovia in meno rispetto a prima della seconda guerra mondiale. Matera, capoluogo di provincia, aspetta ancora «la vaporiera» delle Fs, e l'alternativa a mulattiere asfaltate è la Salerno-Reggio Calabria.

lunedì 25 ottobre 2010

Non è vero che il Sud soffrisse di raffreddore

di LINO PATRUNO

Non ci vogliono stare. La famosa questione del divario economico fra Nord e Sud. E la annosa polemica sulle condizioni del Sud al momento dell’Unità d’Italia. Se era più arretrato come gli storici ufficiali si affannano a ripetere infastiditi. O se il divario è stato un dono del nuovo Regno la cui retorica non deve essere disturbata da simili questioncelle. Non serve una nuova guerra santa in questo Paese che ne ha una al giorno, e proprio mentre squillano i festeggiamenti dei 150 anni. E non occorrerebbe neanche tirar fuori le unghie se il Sud non sospettasse di essere, come si dice, «cornuto e mazziato»: sempre bacchettato per la sua arretratezza, lacerato dai sensi di colpa e poi magari scoprire che è stato solo vittima e non colpevole.

Chiedendo subito scusa per quel «vittima» che richiama il «vittimismo» meridionale, non se ne può più. All’ingrosso la tesi della maggior parte degli storici accademici è che il Regno delle Due Sicilie fosse tutt’altro che il paradiso di cui qualcuno ciancia (non si sa chi, anche perché è difficile che ci fossero paradisi a quei tempi). Sarebbe stato anzi in spaventose condizioni economiche e sociali, popolato più o meno da beduini col cammello, retaggio di secolari dominazioni che ne avevano prosciugato le risorse. E se alcuni suoi vantati primati c’erano, erano solo fumo negli occhi: tipo la prima ferrovia della penisola, la Napoli-Portici, subito bollata come un lusso privato di re Franceschiello per andare alla sua villa al mare. Irrilevante, per gli altezzosi critici, che i due terzi della ricchezza monetaria del nuovo Stato provenissero dal Sud: grazie, perché aveva i soldi e non li spendeva. Qualcosa di simile, ma guarda, a ciò che si dice ancora oggi.

Poi qualcuno è andato a vedere le carte, cominciando ad accorgersi che questo divario forse forse non c’era. Anzi, se vogliamo dirla tutta, ma ci si scusi la sfrontataggine, che nel 1861 il Sud era più ricco del Nord. E che se poi si è ridotto come oggi, bisognerebbe spulciare tutta la politica economica da allora in poi, a parte ciò che i vincitori sottrassero ai vinti come si fa in ogni sana guerra, figuriamoci se guerra civile. Cominciò il meridionalista e capo del governo Francesco Saverio Nitti nel 1900 (ricerca ora ripubblicata a Bari dai professori Nicola d’Amati e Caterina Coco). Hanno continuato ai nostri giorni studiosi come lo storico dell’economia Luigi De Rosa, o Piero Bevilacqua, o l’altra barese Enrica Di Ciommo, o Giordano Bruno Guerri.

E udite udite, è ancora viva l’eco di queste parole: «L’unificazione ha annichilito la società meridionale e di riflesso e conseguenza ha interrotto il suo processo di sviluppo». Magari qualche solito neoborbonico, se non fosse, come è, addirittura il ministro Tremonti, fra l’altro valtellinese doc, mica basso irpino. Sulla stessa linea un altro ministro, il veneziano Brunetta, nel suo ultimo libro. Inoltre. Sorpresa per i risultati dell’indagine dei professori Daniele e Malanima per conto del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche): anche loro in controtendenza rispetto alle verità finora spiattellate. Finché, nel luglio scorso, ci si è messa anche la Banca d’Italia con i professori Carlo Ciccarelli e Stefano Fenoaltea della Sapienza di Roma: l’arretratezza industriale del Sud non è stata un’eredità dell’Italia pre-unitaria ma è nata dopo.

Sembra una congiura revisionista. Ovvio che si scatenino i nervosi distinguo: magari il Sud aveva le fabbriche ma soffriva di raffreddore, la qualità della vita deve pur contare qualcosa. E via filosofando. Non ci vogliono stare. Non è solo storia, è carne viva. Un divario anche figlio della decisione di concentrare al Nord lo sviluppo, di contare sul Sud come grande serbatoio della manodopera a basso prezzo (l’emigrazione), di attivare lo Stato come grande mediatore ed elemosiniere ogni volta che al Sud le cose precipitavano.

In due parole: lo sviluppo del Nord fondato sul sottosviluppo del Sud. Fatto questo per 150 anni, ora s’inventano il federalismo: blocchiamo la situazione al momento, ciascuno si tenga il suo (anche se frutto di ricettazione) e si governi da sé. E il Sud cerchi di farlo bene, visto che deve prendersela con i suoi dirigenti se sta come sta. La storia? Per carità, siete dei piagnoni. Governarsi da sé si può. Ma dopo la restituzione del malloppo.

Negare la storia significa anche negare il diritto alla riparazione. Ora il federalismo lo chiamino anche equo e solidale. Però neanche dei Superman potranno rilanciare un Sud che parte col quaranta per cento in meno di ricchezza. E cominciando anche a capire perché. Festeggiamo con tutto l’orgoglio possibile l’unità del Paese e quel sortilegio ideale che la rese possibile. Ma non può essere unita una famiglia con figli e figliastri. Ora che il Sud lo sa, alzi il ditino. Oppure continui ad accontentarsi, ma per sempre, degli avanzi. Federali.

Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno del 22/10/2010

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giovedì 21 ottobre 2010

Il documento della Conferenza Episcopale Italiana sulla QUESTIONE MERIDIONALE, dal titolo “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”

INTRODUZIONE

1-“La Chiesa in Italia e la questione meridionale”

La Chiesa afferma che intende intervenire,in modo diretto e chiaro, nel dibattito in corso sulla questione meridionale, che coinvolge tutti.

Il concetto centrale, che viene ribadito, è che la QUESTIONE MERIDIONALE CONTINUA A PERSISTERE.

Nevralgica è la partita sul federalismo.

Più in generale, bisogna fare i conti con un PLURALISMO etico e culturale, accelerato dalla globalizzazione, a partire dal fenomeno epocale dell’immigrazione.

Viene riaffermato il principio cardine della SOLIDARIETA’ NAZIONALE.

Le Regioni del Sud hanno storicamente contribuito allo sviluppo del Nord.

La Chiesa rivolge un appello alla volontà di AUTONOMIA e di riscatto del Sud, perché sappia contare , al massimo, anche sulle sue forze.

2 e 3- “Guardare con amore al Mezzogiorno” e “L’eucarestia: fonte e culmine della nostra condivisione

I mutamenti globali rischiano di ISOLARE e EMARGINARE il Sud.

Lo SVILUPPO dei popoli è soprattutto “PENSARE INSIEME”. Un pensiero solidale. Un amore intelligente e solidale ,“ perché nessuno, proprio nessuno nel Sud deve vivere senza SPERANZA”.

La parola- chiave , religiosa e civile, è CONDIVISIONE. Condivisione eucaristica, sotto il profilo religioso. Condivisione di destini, progetti e speranza, sotto il profilo civile. Condivisione articolata in tre momenti: osservazione e analisi,progetto,responsabilità operativa e attuativa.

I-“ IL MEZZOGIORNO ALLE PRESE CON VECCHIE E NUOVE EMERGENZE”

1-“ Che cosa è cambiato in venti anni”

Vi sono stati 6 mutamenti: la geografia politica con nuovi partiti;l’elezione diretta dei rappresentanti nelle istituzioni;la fine dell’economia pubblica e dell’intervento straordinario;cambiato il rapporto tra Sud e Mediterraneo;la globalizzazione;l’allargamento ad Est della Unione Europea.

5-“Uno sviluppo bloccato”. Per 6 motivi.

-Le politiche regionali di sviluppo sono risultate problematiche,con luci e ombre,controverse da valutare.

-Il metodo delle elezioni dirette non è stato risolutivo.

-E’ esplosa la questione ecologica e delle ecomafie.

-La globalizzazione ha indotto maggiori e aspri livelli di competitività.

-La grande crisi globale del 2007-2010 rischia di emarginare definitivamente il Sud.

“Il complesso panorama politico ed economico nazionale e internazionale − aggravato da una crisi che non si lascia facilmente descrivere e circoscrivere − ha fatto crescere l’egoismo, individuale e corporativo, un po’ in tutta l’Italia, con il rischio di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle risorse, trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo”.

6-“Modernità e modernizzazione”

-Nel Sud vi è stata una MODERNIZZAZIONE CONTRADDITTORIA e incompiuta, “una modernizzazione senza modernità”.Vi è stata la distruzione della CIVILTA’ CONTADINA, senza una evoluzione ragionevole.

-Persiste il retaggio di particolarismo familista,fatalismo,violenza, cui si aggiungono individualismo e nichilismo.

-La condizione femminile registra difetti e distorsioni, sebbene le donne rappresentino un patrimonio di civiltà del Sud,per cui il Sud resta debitore nei confronti delle sue donne.

7- “Europa e Mediterraneo”

-La globalizzazione comporta, per il Sud, opportunità e rischi, da governare. Il Sud è carente nella capacità progettuale e nelle performances attuative e gestionali dei progetti di sviluppo. Anche per la debolezza del tessuto sociale.

-La novità consiste nella rinnovata CENTRALITA’ DEL SUD NEL MEDITERRANEO. Il Mediterraneo è la vera e propria OPZIONE STRATEGICA del Sud.

Sul versante dell’immigrazione,il Sud , nel Mediterraneo, è il grande laboratorio della “ cittadinanza aperta”.

8-“ Per un federalismo solidale”

-Occorre coniugare SUSSIDIARIETA’ ( responsabilità, autonomia) e SOLIDARIETA’, per combattere l’egoismo sociale ( del Nord), da una parte, e l’assistenzialismo ( del Sud), dall’altra. Necessita un federalismo vero,solidale,realistico e unitario. Il federalismo fiscale, di per sè, anche con una buona attuazione, non è sufficiente e potrebbe aggravare le fratture tra Nord e Sud.

-Lo Stato centrale deve impegnarsi fattivamente sul fronte delle infrastrutture, della lotta alle mafie e per l’integrazione sociale.

-Vanno assicurati eguali diritti di cittadinanza,contro il rischio di cittadinanze differenziate per collocazione territoriale.

9. “Una piaga profonda : la criminalità organizzata”

-Le mafie mettono in crisi l’intero sistema democratico del Paese,contaminano negativamente l’intera Italia,sono un problema di portata generale, perché hanno messo radici in tutta Italia, sono una questione nazionale.

-Le mafie sono “male “ e “ peccato”,sono “ strutture del peccato” ( il “ peccato mafia”),e, quindi, sono da fronteggiare e sradicare, in modo radicale e frontale.

10- “Povertà,disoccupazione,emigrazione”

-Il Sud risulta- negli anni- più povero e disoccupato, soprattutto sul fronte giovanile.

-Il fenomeno nuovo, più inquietante,è costituito dai nuovi migranti meridionali, prevalentemente giovani altamente e mediamente secolarizzati.

II- “ PER COLTIVARE LA SPERANZA”

11-12-13-14-15-16-17-18-19-20 - “ Un nuovo protagonismo della società civile e della comunità ecclesiale”

-Si deve poter liberare un nuovo protagonismo della società civile e della comunità ecclesiale, in primo luogo, tra i giovani,tramite un associazionismo propulsivo.

-Vi è bisogno della mobilitazione di una NUOVA GENERAZIONE DI POLITICI.

-La società civile e la comunità ecclesiale, pur a fronte di un Sud parzialmente differenziato,devono produrre un IMPEGNO UNITARIO,perché la QUESTIONE MERIDIONALE E’ UNITARIA.In particolare le 8 regioni del Sud devono COORDINARSI TRA LORO e agire unitariamente.

-Il Sud ha grandi risorse da valorizzare.

-Le risorse della RECIPROCITA’ e la cura per l’EDUCAZIONE.

-Il ruolo propulsivo e attivo delle Comunità cristiane: “ il bene vince”,

“il cambiamento è possibile”.

-Vi è bisogno di CONDIVISIONE ECCLESIALE e reciprocità tra TUTTE le Chiese d’Italia.

-Al primo posto le sfide culturali,per la cultura del BENE COMUNE.

-Dispiegare un impegno per il CAMBIAMENTO.

-Investire in LEGALITA’ e FIDUCIA. Rilanciare l’umanesimo cristiano.

-La priorità è la SFIDA EDUCATIVA. Anche con SCUOLE DI FORMAZIONE POLITICA. Innanzitutto,imitare i testimoni : Don Pino Puglisi,don Peppe Diana,Rosario Livatino. Insomma, PANE e VANGELO.

-L’invito è al coraggio e alla speranza. Un appello: “IL CORAGGIO DELLA SPERANZA”. No alla rassegnazione. “LA TRASFORMAZIONE E’ POSSIBILE”.

venerdì 15 ottobre 2010

Orgoglio ritrovato ?


Tre film sul sud 'buono' in un anno e una nuova questione meridionale investe l'Italia
FLAVIA AMABILE


Non è una notizia il fatto che in questo 2010 siano usciti nelle sale cinematografiche tre film sul sud. La notizia è che due di questi sono stati fra i più grandi successi italiani dell'anno. Il primo (Basilicata coast to coast) ha battuto la scorsa primavera il kolossal Avatar ai botteghini e ricevuto premi su premi. Il secondo (Benvenuti al sud) è appena uscito ed è già ai primi posti in classifica. Il terzo deve ancora arrivare nelle sale, dunque si vedrà.

Che cosa succede? Il sud è di moda? E chi va a vedere film in cui il sud non è né mafia, né camorra né pizza o mandolini, ma semplicemente il sud? E chi riempie le sale in un Paese in cui non parlare male del sud è ormai politicamente scorretto?

I meridionali, ovvio. Quelli che vivono ancora da Napoli in giù e quelli che sono andati altrove. Ma i numeri lasciano intuire anche qualcos'altro. Che questi film piacciano anche ad un altro nord, un nord che non ne può più della Lega e di un'arroganza che vede ladri ovunque per non vedere i propri.

Una nuova 'questione meridionale' sta nascendo. E' la voglia di dire 'basta' di fronte ad una campagna di denigrazione costante, ripetuta, che arriva da una parte del governo. E' un orgoglio che sta montando. Trova sfogo nei gruppi su Facebook e nei siti in rete. Tolti quelli calcistici, i siti di orgoglio meridionale - nel senso di orgoglio per l'appartenenza ad una terra umiliata e offesa - sono moltissimi. Inesistenti quelli del nord.

Appare sulle t-shirt che esaltano l'orgoglio terrone e i meridionali al 100%. Si porta dietro una domanda a cui fiora nessuno ha avuto il coraggio di rispondere. Com'è possibile che l'Italia che si è scandalizza dei cori razzisti contro Balotelli negli stadi non abbia mai fatto una piega per quelli contro i napoletani che da anni vengono cantati dalle curve degli Ultras?

Forse, è giunto il momento di tirare su la testa e non lasciarsi più umiliare.

Fonte:La Stampa del 12/10/2010

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domenica 19 settembre 2010

Bacchetta il Sud ed avrai il Nord

di Lino Patruno

Il ministro Renato Brunetta sa come finire sui giornali. Basta dire, come giorni fa, che Napoli è un «cancro etico e sociale ». Anzi che «se non avessimo la Calabria, la conurbazione Napoli-Caserta, o meglio se queste zone avessero gli stessi standard del resto del Paese, l’Italia sarebbe la prima in Europa». Detto dal buon maestro a un corso di formazione del PdL, cioè imparate che è così. E traetene il conseguente disprezzo per i meridionali. La soluzione? Ma naturalmente il federalismo, la medicina per tutti i mali italiani. L’avessero detto a Lippi, con un po’ di federalismo sarebbe arrivato in finale ai Mondiali di calcio.

Il bello è che i meridionali potrebbero anche concordare che se la sottospecie napoletana-casertana- calabrese fosse diversa, farebbero sfracelli. Anzi che se l’Italia fosse solo il Nord, sarebbe più ricca della Germania. Ciò che purtroppo molti meridionali e quasi tutti i settentrionali non sanno è che il Nord non sarebbe così ricco se non ci fosse il Sud. Perché la maggiore ricchezza del Nord si basa sulla minore ricchezza del Sud. Non diciamo sfruttamento, che sarebbe troppo comunista. Ma, per esempio, non si farebbe l’alta velocità ferroviaria al Nord se non si sopprimessero quattro treni al Sud come avvenuto. Non sono redditizi, hanno pensosamente spiegato. Ma anche ciò che si ricava e non si spende al Sud serve a costruire linee da 300 all’ora lassù.

Perché, piaccia o non piaccia al ministro Brunetta, l’Italia è una rete. E visto che il Sud più inguaiato di così non può essere, se si spezza la rete non si sa dove va a finire anche il Nord. Sud mercato dei loro prodotti. Sud dove vincere gli appalti ma non perché sono più bravi ma perché hanno dimensioni aziendali che al Sud non ci sono. Sud dove mandare i loro rifiuti più pericolosi. Sud dal quale hanno preso per decenni la manodopera a basso costo evitando i più fastidiosi immigrati stranieri. Sud dove vengono a fare le vacanze quando non ne possono più anche di se stessi. Sud dal quale, scandalosamente parlando, arrivano quei soldi della mafia che in Cilento ammazza un sindaco ma in Brianza investe procurando ricchezza senza che risultino inequivocabili rip ulse. Non c’è un Nord senza un Sud, siamo un Paese innervato così, anzi ci si scusi il «siamo». Come un industriale (polentone) che al maggiordomo (terrone) che apriva la finestra e diceva «oggi abbiamo bel tempo» rispose: «Abbiamo? Non siamo mica soci».

Allora il Sud maggiordomo va periodicamente bacchettato. E la colpa è sempre della classe politica meridionale. Che, per dirne un’altra, fa costruire dove non si dovrebbe provocando le alluvioni. Vero,ma le leggi che non tutelano il territorio non le fanno al Sud. Comunque quelli sono sindaci da mandare in galera, e ce ne sono di patibolari. Ma i servizi pubblici insufficienti (dai treni appunto, alle strade, all’amministrazione) non dipendono dallo Stato? I servizi che influiscono sulla vita civile, un divario non meno grave di quello economico.

Forse c’è bisogno di maggior coordinamento fra ministri se è vero che negli stessi giorni Tremonti ha detto che al Sud ci vuole più Stato, altro che federalismo. Anzi egli rifarebbe la Cassa per il Mezzogiorno. Quello Stato che ora si fa sentire molto di più contro la criminalità, a conferma che deve spiegare dove era prima. Senza contare che tutte le stragi impunite degli ultimi decenni portano a Roma. E Stato che da un lato dice di dare soldi, dall’altro li dà con tale lentezza e tali difficoltà che quando arrivano ne servono il doppio e così via in un pozzo senza fondo. E poi questa classe dirigente meridionale. Assolverla, mai, sarebbe complicità. Anzi dovrebbe pagare i danni. Ma lavora dove tutto è un problema, se al Nord possono pensare ai fiori nelle aiuole qui devono pensare alla gente che non ha casa e lavoro. Così più spendono, più sono votati: un ammortizzatore sociale. Anzi col federalismo «fai da te» saranno ancora più succubi della pressione, a cominciare da quella della malavita. Tutto il contrario della riduzione della spesa. Ha ragione chi ha scritto in questi giorni che troppo spesso vivere al Sud è un atto d’amore.

Ma, come si dice al Sud, non si può continuare a vivere alla scusa di Cristo, con tutto contro. E poi, in 150 anni di Italia unita, è possibile che ci siano state sempre classi dirigenti colpevoli di ogni peccato, compreso lo stecchino per pulirsi i denti in pubblico? Quando non si sa che dire, dàlli all’amministratore locale, funziona sempre. Eppure sono stati sia di destra che di sinistra, ci deve essere un virus ambientale. Ché quando anche l’amministratore brutto e cattivo (nonché un po’ ladro) non funziona, c’è sempre il federalismo. Su cui si può anche filosofare, ma pensando prima a ciò che andava fatto al Sud e non è stato fatto come dice Tremonti. Proprio la debolezza di memoria che conviene per tenere il Sud sempre in castigo.

Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno
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lunedì 6 settembre 2010

L'Unità d'Italia non è questa !!!

«Questa è Africa! Altro che Italia!
I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono latte e miele.»

(Enrico Cialdini, luogotenente del re Vittorio Emanuele II a Napoli)



Negli ultimi giorni assistiamo, al tentativo, sempre più vano, da parte di boriosi professoroni e di impiegati padronali, di continuare a propinarci le solite stanche "visioni"risorgimentali nel tentativo di confutare le verità storiche sull'invasione del Regno delle Due Sicilie che , grazie anche al successo del libro di Pino Aprile "Terroni" e all'opera di tanti storici revisionisti che da anni, con il loro prezioso lavoro portano alla luce scritti e documenti inconfutabili, concorrono a smascherare le verità proibite sulla storia d'Italia. Ci piace ricordare a tal proposito anche i libri di Antonio Ciano che fu fra i primi a cercare di sollevare il velo di menzogne risorgimentali , pagando il suo coraggioso tentativo con un processo che durò ben quattro anni, venendo comunque assolto; quello che scrisse erano verità.....

Peccato, perchè nei giorni scorsi un'interessante articolo di Marcello Veneziani sulla "casta degli Storici" ci aveva fatto sperare in una presa di coscienza da parte di alcuni di quest'ultimi, ma evidentemente è chiedere troppo e quindi i ben pasciuti pennaruli di regime ancora blaterano di grida di dolore, di Sud miserrimo e negletto, di Regno poverissimo e analfabeta. Si mettano pure il cuore in pace lor signori, che ancora tentano di rifilarci come verità storica il solito soldo bucato dell'unità, cercando così di camuffare la feroce realtà della conquista espansionistica coloniale piemontese....Il Sud si sta svegliando e di questi imbonitori ne ha le tasche piene.


Ecco, a smentire le solite menzogne, alcune citazioni, fra le tante, tratte dalla rete :





Il piemontese conte Alessandro Bianco di Saint-Jorioz era capitano nel Corpo di Stato Maggiore Generale; in armi, aveva partecipato alla distruzione del Regno delle Due Sicilie e al massacro dei meridionali. Lo aveva fatto (scrisse in Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863), convinto di combattere contro «la povertà dei coloni agricoli, la rapacità e la protervia dei nobili, l’ignoranza turpe» e la superstizione, il fanatismo, l’idolatria, la sregolatezza dei costumi, l’immoralità, le corruttele di impiegati, magistrati e pubblici funzionari, la rapina, il malversare. Insomma: il male. Questo, gli avevano raccontato, era il Sud.
Capì tardi, ammise, che quel popolo era «nel 1859, vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto». Perché, con l’invasione piemontese, «in pochi anni le proprietà si concentrarono a pieno nelle mani dei ricchi, degli speculatori, degli usurai e dei manipolatori… Tu vedi uomini di merito languire. Spopolati gli studi di tanta gioventù». E i beni delle famiglie erano depredati con tasse di successione così abnormi «che con tre successioni nella famiglia stessa, che possono verificarsi anche in un anno, dalla agiatezza si balza nella mendicità qualunque famiglia».

(Tratto da Terroni, di Pino Aprile)



“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti.”

(Antonio Gramsci sul settimanale L’Ordine Nuovo, 1920)



[...] l’estensione delle basse tariffe doganali piemontesi a province economicamente arretrate [Nota: si parla della Calabria] ebbe spesso il risultato di soffocare o annientare le industrie locali.

(Denis Mack Smith, il grande storico)



“Oggidì è il primo arsenale del regno, e tale che fa invidia a quelli di parecchie regioni d’Europa. Sonovi in esso vari magazzini di deposito, e conserve d’acqua per mettere a mollo il legname, e sale per i lavori, e ferriere, e macchine ed argani, secondo che dagli ultimi progressi della scienza sono addimantati, e mercè dei quali abbiamo noialtri veduto con poco di forza e di gente tirare a secco un vascello nel più breve spazio di tempo.”

(Achille Gigante, Viaggi artistici per le Due Sicilie, 1845)



«Enrico Cialdini, plenipotenziario a Napoli, nel 1861, del re Vittorio. In quel suo rapporto ufficiale sulla cosiddetta “guerra al brigantaggio”, Cialdini dava queste cifre per i primi mesi e per il solo Napoletano: 8 968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10 604 feriti; 7 112 prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2 905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate; 13 629 deportati; 1 428 comuni posti in stato d’assedio. E ne traevo una conclusione oggettiva: ben più sanguinosa che quella con gli stranieri, fu la guerra civile tra italiani»

(Vittorio Messori, Le cifre del generale Cialdini)



«Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle province, degli uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotta una nuova legge in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno viene fucilato. Questa si chiama guerra barbarica, guerra senza quartiere. Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi.»

(Il deputato Giuseppe Ferrari, 29 aprile 1862)



“L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali

(GIUSTINO FORTUNATO )



“Se dall’unità d’Italia, il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata. E’ caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone "

(GAETANO SALVEMINI )

“Era l’epoca buona, dell’abbondanza sotto il re Borbone. Come dite?… No?… E vi ingannate l’anima! Ogni pancia era senza il vuoto che c’è adesso! Il peso, corrispondeva al giusto, con la bilancia! Parola mia…credetemi signori, che se non fosse stato per il tradimento io non starei qui a fare il pezzente… "- (FERDINANDO RUSSO )

“Potete chiamarli briganti ma combattono sotto la loro bandiera nazionale. Potete chiamarli briganti ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. E’ possibile, come il mal governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa ad un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente rasa al suolo e non dai briganti.

(Deputato GIUSEPPE FERRARI )

“Si è vero, noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale"

(LUIGI EINAUDI )

“Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del Meridione italiano. E’ vero che in un paese gli insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti " (BENJAMIN DISRAELI )

“…Prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia

( ROCCO CHINNICI )



“Intere famiglie veggonsi accattar l’elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’ uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati del Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio dei napoletani. A facchin della dogana, a camerieri a birri, vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuole trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala".

(FRANCESCO PROTO CARAFA, Duca di Maddaloni )

“Caro Presidente, ti salutano qui ottomila moliternesi: tremila sono emigrati in America; gli altri cinquemila si accingono a farlo

(Lettera del sindaco di Moliterno (PZ) al primo ministro Giuseppe Zanardelli 1901 )

“Nel secolo precedente, il Meridione d’Italia rappresentò un vero e proprio eden per tanti svizzeri, che vi emigrarono, spinti soprattutto da ragioni economiche, oltre che dalla bellezza dei luoghi e della qualità della vita. Luogo di principale attrazione Napoli, verso cui, ad ondate, tanti svizzeri, soprattutto svizzeri tedeschi di tutte le estrazioni sociali, emigrarono, con diversi obiettivi personali. Verso la metà dell’Ottocento, nella capitale del Regno delle Due Sicilie quella Svizzera era tra le più numerose comunità estere

( CLAUDE DUVOISIN, Console svizzero, 2006 )

“Il Regno delle Due Sicilie aveva due volte più monete di tutti gli altri Stati della Penisola messi insieme"

(FRANCESCO SAVERIO NITTI )

“La guerra contro il brigantaggio, insorto contro lo Stato unitario, costò più morti di tutti quelli del Risorgimento. Abbiamo sempre vissuto si dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola"

(INDRO MONTANELLI )

“Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli"

(GIACINTO DE SIVO )

“Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirsi dei suoi Stati "

CAVOUR (all’ambasciatore Ruggero Gabaleone) -

“I Borboni non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno"

NAPOLEONE III (lettera a Vottorio Emanuele II, 1861 )

“Non vi può essere storia più iniqua di quella dei piemontesi nell’occupazione dell’Italia Meridionale. In quel luogo di pace, di prosperità, di contento generale che si erano promessi e proclamati come conseguenza certa dell’unità d’Italia, non si ha altro di effettivo che la stampa imbavagliata, le prigioni ripiene, le nazionalità schiacciate ed una sognata unione che in realtà è uno scherno, una burla, un impostura" –

( MCGUIRE deputato scozzese, 1863 )

“Tra le osservazioni fatte sui disordini del Reame di Napoli, si accenna alla differenza che fanno oggi i rivoluzionari fra polacchi e napoletani, chiamando questi briganti, mentre sono vittime delle più feroci persecuzioni, e quelli insorti. Ma è pur vero che gli uni e gli altri difendono il loro paese, la loro nazionalità, la loro religione al prezzo dei più duri sacrifici"

( GEMEAU generale francese, paragona gli insorti polacchi con i briganti, 1863 )

“L’Italia, dove per sostenere quanto gli usurpatori hanno denominato ‘liberalismo’, si stanno barbicando dalla radice tutti i diritti, manomettendo quanto vi ha di più santo e sacro sulla terra. Italia, dove sono devastati i campi, incenerite le città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza"

( NOCEDAL deputato spagnolo, 1863 -)

“Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava ed infine abbiamo dato l’incendio al paese abitato da circa 4500 abitanti . quale desolazione, non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti e chi sotto le rovine delle case"

(CARLO MARGOLFO, bersagliere entrato a Pontelandoflo, 1861 )

“Quelli che hanno chiamato i piemontesi e che hanno consegnato loro il Regno delle Due Sicilie sono un’impercettibile minoranza. I sintomi della reazione si vedono ovunque"

( JORNAL DE DEBATS, novembre 1860 )

“Gli scrittori italianissimi inventarono dunque i briganti, come avevano inventato i tiranni; ed oltraggiarono, con le loro menzogne, un popolo intero sollevato per la sua indipendenza, come avevano oltraggiato principi, re ed anche regine colle loro rozze e odiose calunnie. Inventarono la felicità di un popolo disceso all’ultimo gradino della miseria, come avevano inventato la sua servitù al tempo de’ sui legittimi sovrani."

(HERCULE DE SAUCLIERES, 1863 )

“Il governo piemontese che si vede presto costretto ad abbandonare il suolo napoletano, si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli."

( L’ OSSERVATORE ROMANO, 1863 )

“Il progresso e la civiltà, nei tempi correnti, vengono interpretati diversamente da quello che si intendevano innanzi. Oggi, progresso e civiltà all’uso piemontese vuol dire: abbassamento della suprema autorità, della civiltà, della morale. Secondo la loro moda: la proprietà è furto; il diritto è tirannide; la religione è inceppamento; la pietà è delitto; il fucilare è bisogno; lo spoglio dei popoli è necessità. Chi è dunque cieco anche nella mente, da non vedere in questo civiltà ed in questo progresso l’abbruttimento della società?" (TEODORO SALZILLO, 1868 )

“Sento il debito di protestare contro questo sistema. Ciò che è chiamata unità italiana deve principalmente la sua esistenza alla protezione e all’aiuto morale dell’Inghilterra, deve più a questa che a Garibaldi, che non agli eserciti stessi vittoriosi della Francia, e però, in nome dell’Inghilterra, denuncio tali barbarie atrocità, e protesto contro l’egidia della libera Inghilterra così prostituita"

(LORD LENNOX, parlamentare inglese, 1863 )

“Pare non bastino sessanta battaglioni per tenere il Regno. Ma, si diranno, e il suffraggio universale? Io non so niente di suffraggio, so che al di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni e di là si. Si deve dunque aver commesso qualche errore; si deve quindi o cambiar principi o cambiar atti e trovar modo di sapere dai napoletani, una buona volta, se ci vogliono si o no. Agli italiani che, rimanendo italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate"

(MASSIMO D’AZELIO )

“In un solo mese nella provincia di Girgenti, le presenze dei detenuti nelle prigioni furono 32000. Non si turbino! Ho qui il certificato, la nota è officialissima, 32.000 presenze in carcere, solo nei trenta giorni del mese. Ed ora, codeste essendo le cifre, io domando all’onorevole ministro dell’Interno: ne avete ancora da arrestare?"

(FRANCESCO CRISPI )

“Aborre invero e rifugge l’animo per dolore e trepida nel rammentare più paesi del regno napoletano incendiati e rasi al suolo, e quasi innumerevoli integerrimi sacerdoti e religiosi e cittadini di ogni età, sesso e condizione, e gli stessi malati indegnissimamente ingiuriati, e poi eziando senza processo, o gettati nelle carceri o crudelissimamente uccisi."

(PAPA PIO IX, 30 settembre 1861 )

“Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari."

(PIETRO CALA ULLOA )

“Posso assicurare alla Camera che specialmente in alcune province, quasi non vi è famiglia, la quale non tremi dell’onnipotenza dell’autorità di polizia, dei suoi errori ed abusi. Sotto la fallace apparenza della persecuzione del brigantaggio si vuole avere in mano la facoltà di arrestare o mandare al domicilio coatto ogni specie di persone al Governo sospette."

( PASQUALE STANISLAO MANCINI, intervento alla Camera, 1864 )

“Non parliamo delle dimostrazioni brutali contro i giornali; non parliamo dell’esilio inflitto per via economica; non parliamo delle fucilazioni operate qua e là per isbaglio dalle autorità militari; ma degli arresti arbitrari di tanti miseri accatastati nelle prigioni senza essere mai interrogati."

(IL NOMADE, giornale liberale 12 settembre 1861)

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Pubblicato da NON MI ARRENDO a 9/05/2010 08:45:00 AM 0 commenti Link a questo post

venerdì 27 agosto 2010

La Mafia che al nord "NON" esiste


La mafia che al nord (non) esiste
Alcune precisazioni storiche su storiche menzogne

di: Germano Milite

"Qui a Milano la mafia non esiste". A dirlo non è stato un ottuagenario un po' brillo appena uscito dal bar dello sport ma il sindaco del capoluogo lombardo Letizia Moratti. Sulla stessa linea di pensiero, come stranoto, si trovano a viaggiare a metà tra reale ignoranza ed imperdonabile ipocrisia mistificatrice centinaia di autoerevoli esponenti del Pdl ed in particolare della Lega Nord.
Nella nostra penisola, per ragioni fin troppo facili da intuire, si continua anche nel 2010 a ripetere questa sciagurata, odiosa e negazionista litania che recita, in un disperato quanto grottesco e patetico tentantivo di mantrico autoconvincimento, che la malavita organizzata è un problema ed un "vizio" esclusivamente meridionale; nato, cresciuto e confinato all'interno di quei territori ingrati, lontani e oziosi che si stravaccano, pigri ed accaldati, a sud di Roma.
Per carità, che un lavorantore brianzolo che tira picconate o monta motori per 13 ore al giorno da quando aveva 12 anni creda ancora in questa favola della mafia terrona ci può anche stare ma, che il sindaco di Milano e tanti altri esponenti di spicco dell'esecutivo si ostinino a non voler vedere un legame indissolubile che esiste, in maniera sul serio radicata ed inconfutabile fin dagli anni 80, rappresenta motivo di vergogna e delegittimazione per l'intera classe dirigente.
Senza voler scomodare Michele Sindona e Roberto Calvi (le cui biografie invitiamo comunque a leggere con attenzione e curiositò) e la tristemente nota Banca Rasini situata nel pieno centro di Milano (via dei Mercanti), ci basta difatti citare un esempio particolarmente significativo per comprendere quanto, parlare oggi di Nord e Sud del paese dividendo la mala geograficamente, sia incredibilmente fuorviante e sinonimo di cialtroneria imbarazzante o di imperdonabile mala fede.
E' la fine del non troppo lontano 1986 quando, i picciotti siciliani, decidono che è arrivato il momento di stringere un altro patto di sangue (in tutti i sensi) con gli imprenditori del centro- nord. In particolare, con il beneplacito di Salvatore Riina, la famiglia Buscemi di Palermo (composta da membri di Cosa Nostra) entra in società con il gruppo ravennate Ferruzzi-Gardini della Calcestruzzi. La potente famiglia di Ravenna, che conSerafino Ferruzzi ha messo in piedi un impero da multinazionale negli anni precedenti, sfidando con la distrubuzione e la produzione di grano anche gli americani, è la numero uno in Italia proprio per il tanto agognato calcestruzzo.
E' un'azienda solida ed in crescita che sembrava aver trovato in Raul Gardini (succeduto al defunto Ferruzzi) un dirigente giovane, dinamico e lungimirante.
E così, la Calcestruzzi, ha modo di aggiudicarsi il monopolio del fiorente mercato edilizio (per lo più abusivo) di Sicilia, Campania e Calabria. Un mercato finanziato con diluvi incessanti di fondi pubblici che concede a Gardini, tra le varie zone calde, la collina abusiva di Palermo della famiglia di Michele Greco.
Un giro d'affari enorme che fonde in un unico impasto marcio la migliore imprenditoria nordica con la più feroce e spregiudicata malavita meridionale. Un connubio da 26 miliardi di lire (dell'epoca) di capitale capace di aumentare del 20% il valore iniziale in un solo anno di attività. In altre parole, un'azienda del Nord, riceve appalti e finanziamenti pubblici (pagati dai contribuenti di tutto il paese) per costruire case al Sud e piazza, ai vertici dei diversi consigli d'amministrazione delle cave e delle filiali sparse per la Sicilia, membri di Cosa Nostra.
Ma il patto scellerato e miliardario con la mala si rivela ben presto disastroso per Gardini che, qualche anno dopo, si toglierà la vita; forse (non lo sapremo mai con certezza) proprio a causa del patto con la mala.
Ricatti alla famiglia Ferruzzi-Gardini, lavori malfatti e leggi anti-aziendali imposte nei territori del sud sfalderano in breve tempo il gruppo; erodendo risorse economiche e dando una lezione importante anche ai grandi manager del settentrione: la mafia non concede a nessuno la possibilità di salvarsi. Chi stringe un patto con i suoi membri, rischia la vita fin dalla prima firma e deve sottostare ad ogni capriccio, ad ogni carognata, ad ogni minaccia e ad ogni scelta imposta dagli uomini d'onore.
Quello della Calcestruzzi è un esempio tra i tantissimi che, in maniera lampante, palesa il non senso e la miopia dei discorsi a metà tra il demagogico ed il populista di chi aizza le folle ignoranti del nord contro quelle povere (ed altrettanto poco erudite) del sud in una lotta tra straccioni al termine della quale trionfano solo ricconi e mafiosi. Che motivo c'è, quindi, di fare ancora una differenziazione nord virtuoso e trainante e sud arretrato, arraffone, malavitoso ed inefficiente. I fondi pubblici tanto contestati dalla Lega nord hanno e continuano a finanziare anche i gruppi industriali del settentrione; creando mostri bifronte che investono da Roma in su e deturpano, uccidono e distruggono nel meridione.
Eppure, per scoprire l'intollerabile superficialità di certi discorsi para-politici, basterebbe sforzarsi di leggere qualche libro di storia ben scritto.
La cultura è l'unica arma di salvezza e, per potenti e malavitosi, è molto più pericolosa di una pistola puntata alla tempia.

Fonte:Julianews

lunedì 2 agosto 2010

Ma così si uccide la pecora del Sud !!


di Lino Patruno

Per il ministro Tremonti è molto semplice. Se i Comuni del Sud non ce la fanno, aumentino le tasse. Ma a furia di tosarla, la pecora muore. Già oggi che non c’è ancora il federalismo fiscale del «ciascuno si tiene i suoi soldi e fa da sé», le tasse locali al Sud sono aumentate più che al Nord. Venti per cento. Complice soprattutto l’Ici, la tassa sulla casa, la cui abolizione ha inguaiato i sindaci sudisti. Come pure il «patto di stabilità», spese proibite anche se la cassa te lo consente.
Il Nord l’ha risolta spendendo meno per gli investimenti, cioè le spese eccezionali, non quelle per far andare avanti la baracca, a cominciare dalla spesa sociale per chi ha più bisogno. Il Sud, per non lasciare in mezzo a una strada chi non arriva alla fine del mese, ha invece dovuto alzare le tasse e le tariffe. E partendo da redditi meno sostanziosi di quelli del Nord, quindi danno maggiore ed entrate minori.
Figuriamoci col federalismo. Quando cioè, ammettono anche i meno teneri verso il Sud, arrivando meno soldi dallo Stato il rischio di un’esplosione delle tasse locali non sarà solo un rischio. Dice: allora il Sud dovrà imparare a spendere meno, ad avere più responsabilità perché la pacchia è finita. E se gli amministratori non l’avranno, gli elettori li manderanno a casa. Tutto perfetto. Come dire a un padre di famiglia con due figli a carico e mille euro al mese, se spendi bene ti vai a fare pure le vacanze ai Caraibi. Quello magari esce di testa e fa un casino, eppure sembrava una persona per bene.
E poi, è vero, di sindaci e presidenti sciagurati al Sud ne abbiamo avuti e ne abbiamo, basta andare a vedere consulenze, feste e gemellaggi vari. Per non parlare dei banditi della sanità. I critici, anche meridionali, hanno ragione. Ma al Sud c’è meno lavoro, più gente che non riesce a pagarsi il medico, una famiglia su tre è povera, in vent’anni ne sono emigrati due milioni e mezzo, soprattutto giovani. Ed è un po’ più complicato ogni giorno dover mettere pezze di qua e di là, sentire gridare sotto il Comune «come dobbiamo fare». Fino al punto che rischiano di essere eroi, non cacciati ma rieletti, proprio i sindaci e i presidenti più sciagurati, quelli che più spendono e più tassano. E poi si vede.
Ma la smettano i professorini della Lega Nord di pontificare che quando ogni Regione sarà responsabile a casa propria, anche il Sud andrà meglio. Biascicato dall’alto di un reddito di circa il 40 per cento in più: i contadini dicevano che il ricco non capirà mai il povero. E la smetta il presidente Formigoni di ripetere una cosa vera, che oggi ogni lombardo passa alle altre Regioni 368 euro all’anno e si è stancato, specie se poi si sprecano e il Sud resta sempre Sud. Perché Formigoni, cui non dovrebbero mancare carità cristiana e correttezza, dovrebbe aggiungere che quei 368 euro gli ritornano, e con gli interessi, come spesa dello Stato, cioè con soldi anche meridionali.
È stato il recente rapporto Svimez (Associazione sviluppo Mezzogiorno) a far sapere che, dal 2001 al 2009, la spesa dello Stato al Sud è scesa dal 41 al 34 per cento. E tutti sanno che non ha mai raggiunto quel 45 per cento fissato da vari governi, e non per fare rivoluzioni ma per fare giustizia al Sud. E tutti sanno, fingendo di non saperlo, quanto il Nord ricava dal Sud come mercato dei suoi prodotti, come incentivi per le sue imprese, come commesse di lavori pubblici. Incassando al Nord le tasse anche per le attività svolte al Sud.
Tutti sanno quanto il Nord incassa come valore dei laureati meridionali che vi salgono: 18 mila nel 2009. Non solo classe dirigente (rieccola) che il Sud perde, ma anche danno economico colossale: se ogni laureato costa 100 mila euro (dati Ocse), ogni anno il Sud regala al Nord un investimento di due miliardi di euro.
Anzi, a volersi amaramente divertire, calcolando che il 17 per cento almeno della popolazione del Nord è meridionale, e valutando gli uomini come si fa con gli animali da lavoro, il meridionalista Manlio Rossi-Doria stabilì che ogni emigrato sia costato a chi lo ha «allevato» da 5 a 8 milioni di vecchie lire. La moltiplicazione arriva a 20-30 mila miliardi di lire ceduti al Nord, il doppio di quanto lo Stato ha speso nel Mezzogiorno dal 1950 in poi. Per non calcolare quanto quegli emigrati siano stati la fortuna del Nord. Il «miracolo economico».
Siccome Tremonti ha anche i giorni buoni, ha poi detto che col federalismo fiscale «saremo prudenti, non abbiamo la minima intenzione di rischiare». Figuriamoci il Sud. E il presidente Napolitano ha aggiunto che ci vuole un «cambio di strategia» per lo sviluppo del Sud. Non politiche speciali quando la piazza ribolle, ma governi che vedano con onestà le cifre del Sud e dicano: le abbiamo anche volute noi, non è giusto lasciarle così, altro che ciascuno si tenga il suo. Se questo è meridionalismo piagnone, Bossi è un lord inglese. Improbabile.

Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno del 30/07/2010