martedì 22 febbraio 2011

Roberto Benigni e le "dimenticanze" sull'Unità d'Italia

Di Gennaro Limite
Prima di qualsiasi riflessione sul lungo monologo-esegesi sull'Unità d'Italia e sull'inno di Mameli con il quale Roberto Benigni ha intrattenuto i telespettatori e gli ospiti del Festival di Sanremo, è doverosa una precisazione: chi scrive ha in corpo quel "sano patriottisimo gioioso" del quale ha parlato con grande trasporto e sincerità il grande comico toscano; chi scrive non crede e mai crederà nella divisione del Bel Paese; chi scrive non si lascia tentare da nostalgie borboniche e filo-monarchiche alla "w o' re".
La critica alla critica benignana, dunque, parte esclusivamente dal desiderio sempre più forte di vedere finalmente riemersa una verità storica che proprio da 150 anni viene sommersa da tonnellate di menzogne, favole raccontate dai vincitori ed insulti perpetui e sfacciati alle vittime di un'Unità che è stata, come ogni processo di unificazione nazionale, violenta e per nulla romantica e repentina.
Del resto, anche senza nutrire particolari simpatie per la casa Borbonica, vederla descritta come una sorta di cancro salvificamente ed altruisticamente estirpato dalla venuta dei Savoia, risulta ingiusto e gravissimo soprattutto per i milioni di meridionali uccisi non certo per essere "liberati" dall'oppressore borbonico, ma, al contrario, per subire una vera e propria colonizzazione ed un durissimo e barbarico regime volto esclusivamente ad assorbire più risorse possibili ed a risucchiare le ricchezze di un territorio che non è nato povero come la retorica didattica dilagante vuole lasciar credere.
Non si comprende, infatti, la descrizione eroica ed appunto romanzata di personaggi sicuramente controversi come Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso conte di Cavour. Così come non si comprende il motivo della "beatificazione leggendaria" di quella marcia dei 1000 che di eroico ebbe poco o nulla e di furfantesco-fortunoso moltissimo. Eppure, le verità (scomode) sull'Unità d'Italia dovrebbero essere oramai stranote a personaggi del calibro di Benigni e dovrebbero trovare finalmente spazio anche sulla tv nazionale. Se Unità fraterna, profonda, reale e trasparente deve essere, allora occore sapere cosa è sul serio accaduto per ottenere quella farlocca che ci ritroviamo oggi. Non per dividere; non per creare ulteriori atomismi in un paese già "geneticamente" frammentato in ridicole e miopi lotte identitarie aggrappate al passato e terrorizzate dal presente e dal futuro; non per fomentare sentimenti scissionisti o di vendetta nei confronti dei pronipoti di quei soldati settentrionali che massacrarono le popolazioni del Sud. Ogni vera nazione matura, però, ha dovuto trovare il coraggio e la forza di guardare negli occhi la violenza del proprio passato e delle proprie lotte intestine. La guerra fratricida, piaccia o no, fa difatti parte della storia dell'uomo fin dalle origini.
Tanto per citare uno dei casi più eclatanti ed eloquenti, basta ricordare che anche gli americani hanno lottato duramente prima per la propria indipendenza dalla corona britannica e, successivamente anche tra loro durante la guerra di secessione. Ai bimbi statunitensi, però, non si insegna una storia romanzata e fuorviante ma si presenta fin da subito la cruda realtà e le sanguinose lotte che i patrioti hanno condotto per dar vita a quella che resta ancora la potenzia mondiale. Benigni avrebbe forse potuto tentare una mossa incredibilmente ardita che comunque lo avrebbe inscritto per sempre nelle memorie di questo travagliato paese: parlare della vera Unità italiana per combatterne l'appiccicamento posticcio di etichette e storie da osteria brianzola imposto da 150 anni ad una nazione che ha giustamente definito "minorenne". Avrebbe ad esempio potuto dire che senza rinascita del Sud la penisola non ha speranze di sopravvivere alle sfide del mondo globale. Avrebbe potuto ricordare che sapere quanto il Regno delle Due Sicilie fosse stato grande, non serve per rievocarlo o per trovare giustificazioni ed intonare lagne vittimistiche ma, al contrario, per ricordare a chi è nato nel Mezzogiorno che ha tutte le possibilità per essere di nuovo "potente".
Avrebbe poi potuto ricordarsi di Cialdini, degli eccidi nei villaggi meridionali, del glorioso (e depredato) Banco di Napoli, della distrutta industria navale e tessile dei Borbone; dei primati incontestabili del loro regno. Non lo ha fatto ed ha scelto un buonismo unitario di eccelsa qualità per contrastare la misera e populistica retorica secessionista della Lega Nord. Il risultato è stato buono per la "massa" ma sicuramente monco per chi, da grandi uomini come l'artista toscano che ci rende onore nel mondo, si aspetta cose altrettanti grandi e slanci coraggiosi.
La polemica infinita su quei 250.000 euro che sarebbero frutto di un compenso troppo generoso, in ultimo, non fa altro che confermare per l'ennesima volta l'incredibile, imbarazzante, ipocrita e quasi grottesca retorica di una destra già umiliata ed umiliante ai tempi di Indro Montanelli ed oggi definitivamente destinata, come del resto la sedicente sinistra, ad un moralismo ad personam che si dimostra sempre più incapace di trovare contatto con una moralità diffusa, forte e credibile.

IL VERO RISORGIMENTO ITALIANO RACCONTATO DAI GRANDI
Del resto, come tutti i più informati sanno, sono innumerevoli gli storici e gli intellettuali che nel corso degli anni hanno tentato di far emergere la verità storica sul Risorgimento italiano. Di seguito, per aiutare anche i lettori più assuefatti alla propaganda retorica dei vincitori, ci permettiamo di citare Indro Montanelli, Antonio Gramsci ed addirittura lo stesso conte di Cavour

"La guerra contro il brigantaggio, insorto contro lo Stato unitario, costò più morti di tutti quelli del Risorgimento. Abbiamo sempre vissuto su dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola!"
Indro Montanelli

"Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti".
Antonio Gramsci

"Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirci dei suoi Stati"
Camillo Benso conte di Cavour (all’ambasciatore Ruggero Gabaleone)

"Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo di esser preso a sassate, essendo colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio".
Giuseppe Garibaldi

E dunque, perchè continuare a voler forzare un sentimento unitario raccontando fiabesche e spudorate menzogne e soprendersi per il fatto che quest'ultimo è appunto poco spontaneo e sentito dalla popolazione? Com'è possibile che anche Benigni abbia accettato di farsi portatore di una mole così schiacciante di falsità ed omissioni? E com'è possibile che molti sedicenti italiani sia così allergici a ridiscutere le proprie errate convinzioni? Tutti dilemmi tipici di un paese adolescente popolato da ingenui presuntuosi e governato da cinici ed avidi ottuagenari.

Fonte:Julienews

sabato 19 febbraio 2011

FEDERALISMO FISCALE 2011/ L'inghippo dei fabbisogni standard per festeggiare la fine dell'Unità d'Italia


di Ferdinando Imposimato - La Voce delle Voci

federalismo_fiscale_2011Nel 150° anniversario dell'Unita' d'Italia, mentre la pubblica opinione e' distratta dagli scandali che coinvolgono il premier e umiliano il Paese, si sta verificando paradossalmente laspaccatura in due dell'Italia per effetto della riforma federale. La riforma fiscale, che fu sostenuta da quasi tutto il Parlamento, sembra una trappola per molti ignari cittadini. Il terzo decreto attuativo attribuisce a Sose spa (insieme a Istat e Ragioneria dello Stato)il compito di fissare i fabbisogni standard degli enti locali nelle loro funzioni fondamentali.

La questione dei fabbisogni e' laarchitrave del federalismo fiscale. Dalla loro determinazione dipendera' la tutela dei diritti sociali. E' assurdo che il decreto sottragga al Parlamento e deleghi ad una spa e all'Istat l'individuazione dei fabbisogni e dei livelli delle prestazioni concernenti i diritti sociali dei cittadini: alla scuola, alla salute, al lavoro. Con la violazione del dovere di solidarieta' sociale (articolo 2 della Costituzione), a scapito degli enti locali delle aree piu' deboli.

Non solo. Giorgio Guerrini, neo presidente di Rete Imprese Italia, che raggruppa due milioni di piccoli imprenditori, lancia l'allarme. In un'intervista all'Ansa adombra il rischio - per noi e' una certezza - che il federalismo si traduca in un aggravarsi della pressione tributaria per tutti i cittadini. I decreti produrranno un aumento dell'imposizione fiscale a livello locale. In Italia, secondo i dati dell'ultimo documentoOcse, il rapporto fra tasse locali e prodotto interno lordo e' passato dal 2,9 per cento del 1990 al 16,1 del 2008, contro una media europea del 12,4 per cento. I calcoli diffusi dalla Cgia di Mestre confermano che i cittadini italiani pagano un prezzo alto al fisco locale: 1233 euro a testa. E la dilatazione delle assunzioni clientelari si trasforma in un ulteriore aggravio fiscale per gli esangui contribuenti italiani. Roma e' ai primi posti fra i comuni piu' tartassati dai tributi locali. Ma il federalismo fiscale consentira' ai comuni anche di sbloccare quest'anno le addizionali Irpef ferme al 2008. E le Regioni potranno portare dal 2015 l'addizionale dall'attuale 1,4 per cento al 3 per cento per i redditi sopra i 28.000 euro. Possibilita' di aumento anche per l'Irap, su cui le Regioni avranno ampi spazi di manovra.

PAESE SPACCATO
Intanto il distacco del Nord dal resto dell'Italia sta avvenendo in modo irreversibile. Il primo colpo, e' bene ricordarlo, venne dalla riforma del Titolo V dellaCostituzione, che attribui' alle Regioni competenza legislativa concorrente con lo Stato in materie come rapporti internazionali con l'UE, lavoro, istruzione e sanita'. Una vera follia! I risultati della legislazione concorrente in materia di istruzione si sono visti con lo spettacolo desolante del comune di Adro, il cui sindaco leghista ha preso iniziative razzistiche e lesive della unita' nazionale. A parte la bandiera della Lega nella scuola, egli ha deciso che «se il genitore non paga, l'alunno non mangia a scuola e se ne torna a casa».

Una misura che colpisce gli immigrati e i senza reddito, anche se bravi a scuola. E a questa decisione Bossi, Berlusconi e soci hanno reagito con un'alzata di spalle. Come hanno fatto dopo l'inaugurazione della scuola, tappezzata di emblemi leghisti e intitolata ad un fondatore della Lega Nord senza consultare l'autorita' scolastica locale. Bandita, inoltre, la bandiera italiana, per sottolineare la prevalenza dell'identita' locale su quella nazionale. L'ultimo episodio di queste scelte dissennate e' il divieto di alternativa al “menu padano” per gli scolari. Solo un analfabeta come Umberto Bossi poteva ispirare una simile cretinata, che danneggia i meno abbienti. A Lazzate, in Brianza, (Lazzza'a comune della Padania, si legge sul cartello) le strisce pedonali sono verdi e le vie si chiamano Pontida, Padania, Carroccio, Sole delle Alpi e roba del genere. La locale osteria ha preso l'impegno con il comune che per vent'anni non puo' servire pizza ne' couscous, ma solo cucina lombarda. Episodi che indicano una strategia politica precisa che va verso secessione e barbarie.

La modifica del titolo V, voluta da De Mita, D'Alema e da Giuliano Amato, subi' nel 2004 le critiche di Giuliano Vassalli. Che espresse «antipatia profonda per la riforma del 2001 del centrosinistra», parlando di «manovra elettoralistica varata, con scarsa maggioranza, a favore del federalismo». Vassalli auspico' di «rinvigorire la legislazione esclusiva dello Stato su materie su cui la competenza non e' frammentabile».

Altrettanto critico fu il giudizio dell'allora onorevole Giorgio Napolitano che, chiamato in causa per avere promosso la commissione De Mita, cui subentro' poi D'Alema, ammise di voler «rafforzare i poteri del primo ministro», ma trovo' «orripilante» la nuova formulazione dell'articolo 117. Non meno feroce la critica del costituzionalista Mauro Ferri, che osservo': «quando la Costituzione cominciava a funzionare, si e' cominciato a volerla cambiare con le varie commissioni. (...) Dellabicamerale D'Alema meglio non parlare, meglio non esprimere giudizi su cio' che usci' fuori da quella bicamerale, “tra cui il famigerato premierato, che poi per fortuna cadde”, e il famigerato titolo V del 2001». Sulla stessa linea un altro costituzionalista, Augusto Barbera: «la riforma del titolo V ha gia' prodotto non pochi danni alla governabilita' del Paese».

Nonostante queste critiche aspre e il contenzioso Stato-Regioni che sommerge la Corte, Giuliano Amato ha dichiarato il 14 gennaio scorso, dinanzi all'Accademia dei Lincei, che «la svolta federale in atto servira' a superare l'incompiutezza della unificazione italiana». Un trasformista, Amato, braccio destro di Craxi, che mira alla presidenza della repubblica con l'appoggio del centrodestra e di Bossi. Il federalismo accettabile e' solo quello solidale. Convinti, con Ciampi, che «per diffondere in Europa un generale benessere, maggiore giustizia sociale, un piu' alto livello di democrazia», il federalismo richiede «cultura politica, accresciuto impegno civile di amministrati ed amministratori, nuovo patriottismo regionale, nazionale ed europeo».

Ma Carlo Azeglio Ciampi riconobbe che la nascita delle Regioni era stata una delusione: non avevano saputo evitare «costosi doppioni», una «proliferazione burocratica, dannosa per lo sviluppo di ogni regione» e - io aggiungo - la crescita di corruzione e crimine organizzato. La mafia continua a gestire le risorse destinate alle regioni provenienti dallo Stato e dall'UE , come confermano Commissione Antimafia e DNA.

IL SENATUR FEDERALE
Parlando del federalismo non dimentichiamo che Bossi e premier mirano allo stravolgimento della Costituzione, gia' tentato nel 2005 con Senato Federale, Corte Costituzionale e federalismo fiscale. Il senato Federale, approvato dal Parlamento nel 2005, fu bocciato dal referendum popolare. Giuliano Vassalli ammoni' che esso realizzava il predominio del Senato federale sulla Camera ed era «un istituto ibrido, incomprensibile in piu' punti». La Lega vuole infatti un Senato federale con poteri piu' ampi di quelli della Camera. E il potere di eleggere 4 membri della Corte Costituzionale, mentre alla Camera ne resterebbero solo 3, (oggi ne spettano cinque al Parlamento in seduta comune).

Con l'aumento delle toghe di nomina politica, la Consulta non sarebbe il giudice imparziale delle leggi, ma un organo della maggioranza. E dunque non in grado di dichiarare la incostituzionalita' delle leggi approvate dalle maggioranze di centrodestra e di centrosinistra, a partire dal lodo Alfano. Al Senato spetterebbe un groviglio di competenze, tra cui un potere di veto sui rapporti internazionali, tutela e sicurezza sul lavoro, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica, salute, finanza pubblica e sistema tributario. Un guazzabuglio che porterebbe alla paralisi del Parlamento ed alla disgregazione del Paese. Farraginoso era poi il sistema escogitato dalla Lega per disciplinare i rapporti tra Camera e Senato federale nella formazione delle leggi. Una riforma, dunque, fatta per aumentare i conflitti. In realta' la Lega tende alla secessione morbida del Nord dal resto dell'Italia.

Una conferma dell'incidenza negativa del federalismo sullo sviluppo viene dalla Corte dei Conti: i magistrati contabili hanno denunciato, nel 2009 e 2010, che la corruzione dilaga, essendo divenuta una tassa immorale ed occulta, pagata dai cittadini, pari a 50-60 miliardi di euro all'anno. «Un fenomeno che ostacola, al Sud, gli investimenti esteri». Nella classifica della corruzione, tra le prime cinque regioni - afferma la Corte - quattro sono del sud: Sicilia (13% del totale delle denunce), Campania (11,46%), Puglia (9,44), Calabria (8,19) preceduta dalla Lombardia con il 9,39 del totale delle denunce. A cio' si aggiunge l'aumento della spesa corrente del 4,5% (stipendi e pensioni): un costo insopportabile per la collettivita'.

D'altra parte, guardando ad Adro e Lazzate, capiamo che il federalismo tende a proteggere gli interessi particolari della Lega contro quelli dei cittadini delle altre regioni d'Italia e contro gli stranieri. E ad intaccare settori vitali. La scuola non sara' piu' luogo del confronto pluralistico fra giovani di diverse culture, etnie e religioni, ma quello in cui la formazione si frantumera' nelle varie regioni a seconda delle diversita' religiose ed etniche, con il vanificarsi della speranza di costruire una comune cittadinanza democratica, secondo i principi di solidarieta' e tolleranza.

Nella sanita' saranno avvantaggiate le Regioni piu' ricche rispetto a quelle piu' povere, meno garantite rispetto ad un bene primario quale e' il diritto alla salute. Cio' lederebbe l'idea unitaria dello Stato, pensata dai padri costituenti quale «forma fondamentale di solidarieta' umana». Il parlamento nazionale, che legifera su diritti e liberta' fondamentali dei cittadini, sul lavoro, sulla indipendenza dei magistrati, sul pluralismo della informazione, sui sistemi elettorali e sui conflitti di interesse, perderebbe la sua centralita' e la sua liberta'. Il solo effetto positivo dello scandalo che travolge il premier Silvio Berlusconi e' - speriamo - l'affossamento del federalismo.

Tratto da La Voce delle Voci di Febbraio 2011

Fonte: L'Infiltrato

martedì 15 febbraio 2011

Scopelliti Bravo 7+


Mentre tutti gli Italiani vorrebbero un parlamento costituito da deputati e senatori eletti con il voto di preferenza e non come è oggi nominati dalle segreterie dei partiti attraverso liste bloccate, spesso non per qualità e professionalità, ma per clientelismo,nepotismo,affarismo,escortismo,oppure se indicato e consigliato (sigh) dal compare di turno. Il nostro presidente Scopelliti,alcuni giorni fa,ha partorito la grande idea democratica,di introdurre le liste bloccate ed eliminare le preferenze anche in Calabria. "Con le liste bloccate -ha spiegato nell'intervista il Governatore- si responsabilizzano i partiti, in questo caso le segreterie regionali, si abbatte il meccanismo della rincorsa del consenso a ogni costo e si chiudono le porte in faccia ai singoli imbecilli che a ogni elezione producono accordi criminali e clientelari con la ‘ndrangheta.
Io credo di non aver capito bene !e mi chiedo: se fosse così come afferma il governatore, sarebbe molto più facile per i partiti produrre accordi criminali e clientelari con la 'ndrangheta' in quanto verrebbero posizionati capolista con la certezza di essere eletti, gli uomini d’onore tanto temuti da Scopelliti mentre sicuramente chiuderebbe la porta in faccia solo agli imbecilli come me che ancora credono nella democrazia ! Tutto ciò mi sembra incomprensibile e comunque mi adeguo ! Tuttavia caro Scopelliti ,con questa idea geniale,ti sei guadagnato un Bravo 7+ !!!

Remigio Raimondi
-Orgoglio Meridionale-

domenica 6 febbraio 2011

Federalismo !Le sette bugie a danno del Sud !!

di LINO PATRUNO

Il pareggio in Commissione significa che mezza Italia vuole il federalismo e mezza no. Mezzo Paese può fare una riforma del genere contro l’altro mezzo? Una riforma che è un nuovo Risorgimento, un’altra Italia 150 anni dopo? E si può farla come allora, con mezza Italia che conquista l’altra e l’assoggetta? E si possono ripetere tutte le belle conseguenze che ancòra oggi subiamo? Si può condizionare il domani con una riforma che non sia quanto più condivisa possibile? E come si comporterebbero dopo le due Italie una verso l’altra? E si può dividere l’Italia proprio mentre si celebra il compleanno della sua Unità? E può diventare il federalismo un mercato arabo in cui ciascuno tenta di strappare quanto più possibile a danno degli altri? E come funzionerebbe un siffatto nuovo Paese, cioè una Repubblica fondata sul colpo di mano?

Vedremo cosa succederà ora, voto non voto e dintorni. Il direttore De Tomaso ha spiegato ieri perché questo federalismo è un futuro peggiore del passato. Essenziale è però sapere che il Sud non teme il . Ma teme un nuovo Risorgimento tradito. E soprattutto respinge le bugie sulle quali il Nord della Lega vuole imporglielo. Senza le bugie, si può discutere quanto si vuole.

Anzitutto, non è vero che il Sud non sa utilizzare i soldi a sua disposizione. Questi soldi sono i Fas (Fondo aree sottoutilizzate) e i Fondi europei. I Fas li gestisce il governo: se sono stati inutilizzati, utilizzati male, utilizzati non per il Sud, prego rivolgersi allo stesso governo. I fondi europei sono a compartecipazione dei privati e dello Stato. Quindi per i progetti occorre una quota dei privati e una dello Stato. Questa molto spesso è mancata, o ha ritardato fino a far perdere il finanziamento. Se a utilizzarli male sono state le Regioni, vedere quante volte non si sono aggiunti alla spesa ordinaria dello Stato (quella fatta sia al Nord che al Sud) ma l’hanno dovuta sostituire. E quanto agli sprechi, che pure ci sono, prego controllare l’aumento continuo della spesa pubblica da parte di quello stesso Stato che bacchetta il Sud.

Due. Non è vero che tanti soldi passano dal Nord al Sud, quindi . E’ vero che ogni anno 50 miliardi scendono dal Nord al Sud, ma non da un territorio all’altro, bensì da chi più può a chi meno può: come in tutti gli Stati civili moderni. Passano anche dall’industriale all’operaio lombardo (sempre che l’industriale dichiari più dell’operaio). Ma poi la Banca d’Italia rivela che ogni anno tornano dal Sud al Nord 70 miliardi per prodotti e servizi del Nord acquistati dai meridionali. Quindi Sud in credito di 20 miliardi l’anno.

Tre. Non è vero che il federalismo fiscale costringa alla responsabilità: chi spende male e troppo, è giudicato dai suoi cittadini e non più rieletto. Un sindaco può spendere male al secondo mandato quando non è rieleggibile e quindi fregarsene. Ma due capisaldi del federalismo municipale sono la tassa sulla seconda casa e la tassa di soggiorno. La seconda casa ce l’ha in genere chi viene da fuori. E anche la tassa di soggiorno la paga il non residente. Entrambi cioè non votano lì. E quanto alla responsabilità, una cosa è sprecare, un’altra è dover spendere se troppe sono le necessità della gente, come normalmente avviene al Sud. E infine in Italia non si è mai visto (purtroppo) nessuno cacciato per eccesso di spesa più che di risparmio.

Quattro. Non è vero che il federalismo non farà aumentare le tasse e la spesa. Con meno di fondi da parte dello Stato, i Comuni dovranno aumentare le loro tasse. Però lo Stato dovrebbe diminuire le sue. Ma chi pagherà i 70 miliardi l’anno di soli interessi sul debito pubblico? E come potrà rinunciare a parte delle sue entrate uno Stato schiacciato dal peso di due Camere uguali, di quattro Polizie, delle Province, di un numero infinito di Authority (dalla concorrenza alla trasparenza), di quattro sistemi giudiziari (civile, penale, Tar, Consiglio di Stato), di migliaia di enti inutili, delle casse integrazione, del buco pensionistico? E quanti dipendenti pubblici passeranno dallo Stato alle Regioni e ai Comuni, distribuendo le funzioni invece di raddoppiarle?

Cinque. Non è vero che il divario fra Sud e Nord ( meno 33% di reddito, meno 30% di infrastrutture, il triplo della disoccupazione) potrà essere compensato dal fondo di perequazione. Nessuno ha finora saputo di quanto sarà. E se la perequazione non ha funzionato finora, figuriamoci dopo. Nessuno conosce neanche quanti saranno gli investimenti in infrastrutture al Sud. E il federalismo fiscale non può partire da basi così diseguali, i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Sei. Non è vero che lo Stato spenda più al Sud. E che se il Sud nonostante questo non è cresciuto, sono problemi suoi ma ora basta. Cliccare su Internet, ministero di Tremonti: spesa dello Stato più al Nord che al Sud, cioè l’anti-perequazione. E dal governo Amato in poi, mai rispettata la percentuale stabilita del 45% della spesa al Sud, non andata oltre il 36-37 per cento.

Sette. Non è vero che i sono il mezzo per evitare che una siringa costi 5 in Lombardia e 10 al Sud. I costi li fa il mercato. E possono dipendere dalla quantità di siringhe acquistate, dai fornitori, dal sistema di pagamento, dall’efficienza dei trasporti. Se ci sono abusi, li giudica la magistratura non un piano di tipo sovietico che fissa i prezzi per tutti.

Sette. Detto questo, non è vero che il federalismo fiscale risolverebbe tutti i problemi italiani. Risolverebbe al massimo quelli del Nord. Appunto.

Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno