venerdì 17 aprile 2009

La storia di un altro grande calabrese dimenticato


Harry WARREN (Salvatore Antonio Guaragna

Fu al tempo della prima grande ondata migratoria post-unitaria, quando, tra il 1876 e il 1915, quattordici milioni di Italiani partirono per “fare l’America” stipati su sovraccarichi (molti, anche bambini, affrontavano l’intera traversata sul ponte all’addiaccio), malandati piroscafi, che erano vere e proprie carrette del mare, dove, spesso trovavano la morte per i patimenti e le malattie (i piroscafi erano privi di sala mensa, di infermeria e, naturalmente di medici a bordo), che Antonio Guaragna, di mestiere stivalaio, partì da Cassano, con la speranza di guadagnare quel tanto per migliorare la non florida vita della sua famiglia, in seno alla quale certo sarebbe ben presto tornato. Andò e, naturalmente, non tornò, ma fu tra i più fortunati, perché ebbe la possibilità, dopo incerta fortuna, di ricongiungersi alla famiglia. Andò in Argentina, ma fu peggio che in Italia, nonostante la presenza di tanti altri Calabresi.


Pensò di trasferirsi a New York, dove, aperta un’attività commerciale a Brooklyn, cominciò a fare gli affari giusti per poter chiamare a sé la moglie Rachele e la numerosa famiglia lasciate a Cassano. E a Brooklyn, il 22 dicembre 1893, nacque Salvatore Antonio, il futuro signore del musical americano conosciuto come Harry Warren, uno dei grandi dimenticati dalla madre patria.




Harry con i suoi tre OscarTuti (com’era chiamato il piccolo Salvatore), crebbe con la passione musicale propria di tutta la famiglia, com’egli stesso ebbe a dichiarare: «la nostra poteva dirsi una famiglia musicale solo nel senso che si amava la musica e si cantava insieme, ma non c’era un pianoforte; il che mi dava pena, perché avevo desiderio di suonare».

L’Italo-americano Generoso D’Agnese così ha tratteggiato vita, opera e fortuna del grande Harry, uno dei più celebri compositori musicali del cinema e del teatro americani vincitore di tre premî Oscar: «La sua musica ha accompagnato migliaia di vite durante il XX secolo e ha fatto da sottofondo a numerose storie delle varie generazioni, ma sono davvero pochi coloro che associano il suo nome a quello di un figlio italiano d’America, onorando un altro tassello di quell’eccezionale mosaico d’umanità che ha caratterizzato la presenza peninsulare d’Oltreoceano.

I suoi motivi musicali ancora oggi vengono eseguiti e canticchiati da molti uomini, ma non è facile ricordare il suo nome: Harry Warren. E ancor più difficile è rintracciare, dietro la facciata anagrafica anglosassone, un artista dal nome inconfondibile: Salvatore Antonio Guaragna».

Il piccolo Salvatore frequentò con profitto la scuola, evidenziando un precocissimo talento per gli strumenti musicali e deliziando i suoi compagni e i suoi insegnanti con la batteria, la fisarmonica e il pianoforte. Questo, tuttavia, non bastò a far proseguire la sua strada in modo agevole: era emigrato, era italiano, voleva fare il musicista. La sorella maggiore, intuendone il potenziale artistico, lo incoraggiò sulla strada della musica, e, perché il fratello mimetizzasse la sua origine italiana al fine di vedersi aperta più facilmente la porta del successo, gli suggerì di cambiare il nome, adattandolo in quello, più familiare agli anglosassoni, di Harry Warren. Il suggerimento della sorella era dettato dalla paura che a Salvatore potesse accadere quello che ad altri Italiani era accaduto. Erano ancora presenti nella memoria i fatti verificatisi appena tre anni dopo la nascita del fratello. Il 3 agosto 1896 l’agenzia Reuter batteva la notizia che a Hahneville, New Orleans, la folla aveva tratto fuori dalla prigione cinque italiani accusati di assassinio, e li aveva linciati. La giustificazione del delitto fu che nei mesi precedenti in città erano state assassinate undici persone senza che si scoprissero i colpevoli. Ma si scoprì sùbito che i cittadini assassinati non erano americani, ma emigrati italiani, tutti provenienti dalle regioni meridionali. Il 22 agosto dello stesso anno cominciava in Brasile la caccia agli Italiani. Il 21 luglio 1899 in Luisiana, a Tallulah, nella contea di Madison, cinque operai italiani, che erano venuti a diverbio con un cittadino americano, furono linciati dalla folla e lasciati morti sulla strada. Furono episodi codesti, e tanti altri di violenza e di umiliazioni inenarrabili, che gli emigrati italiani misero in conto per le loro scelte future, comprese quelle, certo sbagliate, della via del gangsterismo. Salvatore-Harry, tuttavia, non si preoccupò molto della sua doppia identità anagrafica, e al nuovo nome prepose spesso sulle copertine degli spartiti musicali quello suo vero di Italiano rimasto legato alla patria lontana del padre e sua.

Imparò a studiare la musica, frequentando il coro nella chiesa del suo quartiere italiano, e a sedici anni decise di terminare il suo impegno scolastico per aggregarsi a un circo con l’incarico di tamburino. Nel 1915 si avvicinò al cinema, ottenendo un ingaggio dalla Vitagraph Movie Studio di New York. Suonò per la diva del cinema muto Corinna Griffith, ritagliandosi fin dal primo momento un suo proprio spazio nell’àmbito della musica melodica, e cominciando a far intravedere quella sensibilità, che lo avrebbe fatto, in sèguito, affermare come uno dei grandi innovatori della musica popolare americana alla stregua dei grandi J. Kern, G. Gershwin, C. Porter, Rodgers, anche se la musica di Gershwin e di Porter era fortemente influenzata dal jazz, e quella di Warren meno dalla musi­ca afroamericana e più da quella di matrice italiana. Basti pensare, per il loro tipico melodizzare italiano, solo per fare qualche esempio, a Bythe Rivers Sainte Marie del 1931, inciso da Tommy Dorsey e Jimmy Luncerford, poi lanciato da Nat King Cole, e a That’s Amore inciso e portato al successo nel 1955 da Dean Martin, altro grande cantante italo-americano con Frank Sinatra, Perry Como, Frankie Lane, Frankie Avalon, Jimmy Durante Tony Bennett, Madonna, Anna Moffo, Mario Lanza, Connie Francis Lou Monte, Louis Prima, Liza Minnelli tanto per citarne qualcuno, e adottato quasi come un inno dalla comunità italo-americana. In quegli anni, in cui si affermava il primo cinema, Warren interpretò anche alcuni film, come comparsa, mentre in altri svolse il ruolo di aiuto regista.

Nel dicembre 1917, mentre era ancora in servizio nella Marina Militare a Montark Point, New York, sposò Josephine V. Wensler, da cui, a metà del 1919, ebbe il figlio Harry Jr., poi deceduto il 1940 a soli diciannove anni. Nel 1922 arrivò il suo primo vero successo di giovane autore: il suo pezzo “Rosa del Rio Grande”, eseguita da Edgar Lesile, divenne, infatti, una vera e propria Hit, e lanciò Warren tra i protagonisti della musica dell’epoca. I suoi brani incontrarono sùbito il favore del grande pubblico, e due sue composizioni guadagnarono il primo posto nella hit parade nel 1923: Home in Pasadena e So This is Venice divennero pezzi culto dell’epoca. Il successo si confermò tre anni dopo con dieci brani pubblicati nel solo 1925, di cui ben cinque scalarono la vetta della classifica. L’anno successivo altre due canzoni scalarono l’hit parade americana e il 1928 il brano Nagasaki gli assicurò un vero e proprio trionfo mondiale. Dal 1929 al 1932 tenne l’incarico di amministratore della Società Americana dei Compositori, Autori e Pubblicitari (ASCAP).

Sempre in vetta alle classifiche di tutti gli States, il 1931 Warren prese a lavorare intensamente per il cinema (Spring is Here) e i musical di Broadway (Sweet and Love e altri due show interpretati da Fannie Brice ed Ed Wynn, e The Wonder Bar di Al Johnson).

Tra il 1932, anno in cui scrisse, vincendo l’Academy Award, la colonna sonora del film 42nd street, da cui derivò un musical di successo, e il 1939 egli scrisse 149 musiche per film, tra cui September in the Rain con Gene Kelly, interpretate, poi, dai più grandi cantanti non solo dell’epoca, e comparve anche, interpretando se stesso, nel film citato e in Go into your Dance. Il 1935 si assicura il primo Oscar con Lullaby of Brodway del film Gold Diggers of 1935 con Dick Powell.

Il 1940, dopo la morte, come abbiamo visto, dell’unico figlio, alla Twentieth Century Fox Studios cominciò a collaborare con Glen Miller, Shirley Temple, Carmen Miranda, Harry James, scrivendo, in tre anni settanta brani musicali di grande successo e interpretati, come sempre, dagli artisti più famosi. Per Miller scrisse Chattanooga choo choo, divenuta sùbito celebre in tutto il mondo e premiata con il primo disco d’oro della musica leggera per aver venduto più di un milione di copie. Sùbito dopo, nel 1943, con You Never Know (il film è Hello, Frisco, Hello), si aggiudicò un altro disco d’oro e il secondo premio Oscar.

Scrisse, negli anni successivi, ancora musica per film, vincendo il terzo Oscar con la canzone On The Atchion, Topek And The Santa Fe cantata nel film Harvey Girls (1946), di cui era protagonista Judy Garland, e lavorando con Ginger Rogers, Fred Astaire, Bing Crosby, Jerry Lewis, Gene Kelly, Esther Williams, Dean Martin e con altri grandi del musical fino all’età di ottantasei anni (Manhattan Melody, 1980), anche se, man mano, il suo stile musicale non incontrava più il favore delle giovani generazioni affascinate dal rock.

Morto il 22 settembre dell’anno successivo a Los Angeles, fu sepolto nel Westwood Memorial Park di quella città. Sulla targa di bronzo della sua tomba la moglie fece incidere le prime note della canzone You’ll Never Know, il nome del marito, gli anni di nascita (errata) e di morte, e la scritta Amato marito, padre, compositore. L’Amministrazione Comunale di Cassano gli ha dedicato una strada della frazione Lauropoli, ma egli attende ancora il giusto tributo dalla distratta patria d’origine.

Salvatore Guaragna è, insieme a tanti altri, l’emblema di tutti quegli Italiani, e Calabresi, in particolare, i quali reagirono al disagio di emigrati emarginati e, spesso, perseguitati, scegliendo con caparbietà la via dell’affermazione personale assicurata dalla volontà e dall’impegno, integrandosi perfettamente nel complesso e variegato tessuto americano senza rinunciare alla propria identità.

Non è il solo, Salvatore Guaragna, a essere un grande dimenticato dalla Patria. Altri illustri uomini calabresi gli fanno compagnia: Italo Carlo Falbo, direttore del Progresso Italo-americano dopo esserlo stato de Il Messaggero in Italia, amico di Pirandello, con cui fondò la rivista Ariel, critico musicale, musicista compositore egli stesso, parlamentare, medico e botanico; San Gregorio Abate, l’amico di Ottone II e della regina Teofano, che diffuse la cultura bizantina in Germania, dove ancora oggi è il santo più venerato; Cosmo Granito, il medico filantropo eroe della rivolta antispagnola accesa a Napoli da Masaniello; e, tra i contemporanei, Saverio Strati, il più grande scrittore italiano vivente, giusto per fare un nome, visto che se ne sta parlando tanto in questi giorni Quanti ancora, dunque, da ricordare? Tanti. Se ne scriverà di volta in volta, fornendo le notizie essenziali, lontano dalla tentazione di tessere panegirici.

Leonardo R. ALARIO - Calabria Ora

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