Di Carlo Napoli
Era il 17 marzo 1861, quando “per grazia di Dio e volontà della nazione” Vittorio Emanuele II di Savoia venne proclamato re d’Italia, completando il processo di unificazione nazionale. Tanto è stato detto su questa data, tanto si è scritto, tanto si è discusso sui reali motivi dell’unità, sulla reale supremazia sabauda, sui reali fini dei “Padri della Patria”. Non vuol essere mio intento, in questa sede, effettuare una disamina storica dei fatti, difforme da quanto ingiustamente inculcatoci durante la scuola dell’obbligo. Ottimi autori, quali Pino Aprile, Gigi di Fiore, Antonio Ciano e tanti altri, hanno lungamente e puntualmente dissertato sul “contro risorgimento”, portando al grande pubblico fatti ed eventi, riletti in ottica revisionista, ponendo l’accento su quanto non scritto e quanto non ricordato dai vincitori (che ovviamente hanno l’onere e l’onore di scrivere e trasmettere ai posteri la storia).
L’Italia è una, unica, indivisibile, è la mia patria, è la terra rappresentata in musica dall’inno nazionale di Goffredo Mameli, nel quale, tra l’altro, in un passaggio, nella seconda strofa, si legge:”…raccolgaci un’unica Bandiera; una speme…”., richiamandoci così all’unità nazionale sotto un solo simbolo: il Tricolore italiano. Bandiera gloriosa, dagli antichi natali, sancita dalla costituzione (art..12), tutelata dal codice penale (art. 292) e troppo spesso vilipesa da aizza popolo, qualunquisti, costretti ad inventarsi una terra geograficamente e storicamente inesistente, alla stregua della terra di mezzo di tolkieniana memoria. Con questa premessa, vorrei soffermarmi su quelli che, molto frequentemente ed a vanvera, vengono definiti gli sprechi del Sud, sulle tante opere incompiute, su quanto costa ai laboriosi cittadini del nord (che pagano le tasse) mantenere in piedi questo stato di cose, sul federalismo che finalmente metterà a posto ogni cosa e soprattutto sul concetto che le meridionali cicale sono puntualmente sovvenzionate dalle operose formiche settentrionali. All’Unità del Paese, calò con i piemontesi un tale dott. Lombroso che, dopo aver “studiato” le caratteristiche fisiche dei meridionali, affermò che si era in presenza di una razza inferiore, avendo essi un cranio più tondo ed addirittura una vertebra in meno rispetto alla superiore razza nordista. Purtroppo questa assurdità ancora oggi è presente nel modo di pensare di molti “padani”, unitamente all’altro grande assunto che vuole che al Sud si canti, si balli la tarantella e si passi la vita sdraiati al sole, scroccando sussidi alle casse dello Stato, che essi tanto amorevolmente contribuiscono a rimpinguare pagando le tasse, anche più del dovuto. Per questo motivo, i solerti neoceltici ritengono necessario ed urgente il federalismo, quale primo passo verso la secessione (utopia populista, momentaneamente accantonata per motivi utilitaristici).
Per fare un po’ di chiarezza, sia per noi meridionali che per gli amici del nord, vorrei analizzare alcuni dati inerenti l’utilizzo delle risorse pubbliche. Inizio con la famigerata Cassa del Mezzogiorno, fonte di tanti costi per lo Stato, di tanti guai e di tanto sudore costato a quella fascia di popolazione (celtico/ariana) che lavora. La Cassa ha operato dal 1951 al 1984 quando il governo di Bettino Craxi ne decise la soppressione, anche se continuò ad operare con il nome Agensud, fino al 1993, quando venne definitivamente chiusa dal governo di Giuliano Amato. Gli interventi erano estesi alle sei regioni meridionali, alle isole ed “alle provincie di Latina e di Frosinone, ai comuni della provincia di Rieti già compresi nell’ex circondario di Città ducale, ai comuni compresi nella zona del comprensorio di bonifica del fiume Tronto, ai comuni della provincia di Roma compresi nella zona della bonifica di Latina, all’Isola d’Elba, nonché agli interi territori dei comuni di Isola del Giglio e di Capraia Isola”. Tengo a precisare, questa parte dell’art.1 del Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno perché alla Cassa del Mezzogiorno si associano solo le regioni meridionali, e mai i comuni del Piceno o delle province del Lazio!! Con tale legge istitutiva si approvava un “programma quinquennale contenente gli obiettivi generali e specifici dell’intervento straordinario e l’indicazione dei loro effetti sulla occupazione, la produttività ed il reddito” affermando che “lo sviluppo delle Regioni meridionali costituisce obiettivo fondamentale del programma economico nazionale”, l’intento quindi era quello di finanziare opere straordinarie, che dovevano essere funzionali alla formazione di un tessuto infrastrutturale che favorisse l’insediamento dell’industria e lo sviluppo dell’agricoltura e della commercializzazione dei prodotti agricoli nell’Italia meridionale. Ciò, purtroppo, come ben sappiamo, non è avvenuto. Solo nel primo decennio la Cassa ha tentato di ridurre lo squilibrio economico tra le due grandi aree del Paese, dedicandosi al miglioramento della viabilità, alla costruzione di dighe per le centrali idroelettriche, alla costruzione di fognature e acquedotti, non tralasciando il risanamento idrogeologico di zone particolarmente esposte a tale rischio. Successivamente è iniziato il degrado e la bassa qualità della spesa, compresi fenomeni diffusi di illegalità ed il passaggio definitivo alla politica assistenzialistica nella gestione dei fondi di cui veniva dotata la Cassa per il Mezzogiorno. Nel quarantennio di attività, l’investimento complessivo della Cassa per il Sud è stato calcolato in 279.763 miliardi di lire (circa 140 miliardi di euro), con una spesa media annuale di 3,2 miliardi di euro. Cifre molto grosse, ma esaminandole bene si scopre che esse risultano essere circa lo 0,5% del PIL, (corrispondente alla somma annua versata attualmente dall’Italia per gli aiuti ai Paesi del Terzo mondo e sicuramente inferiore al costo del ripianamento del deficit delle Ferrovie dello Stato) contro gli investimenti pubblici al nord che nello stesso periodo assorbivano il 35% del prodotto interno lordo.. Volendo aggiungere al danno la beffa, il Senatore a vita Emilio Colombo scrive: “La Cassa operò per modernizzare il Sud e creò le condizioni per un grande mercato di cui profittò la struttura industriale del Nord pesando sulla ineguale «ragione di scambio» tra industria e agricoltura e quindi tra Nord e Sud e per classi e generazioni”.
La legge del 1950, infatti, prevedeva che gli enti locali potessero evitare la gara dando gli appalti attraverso trattative dirette in concessione, ciò causò, come ricorda Gerardo Marotta, fondatore dell’Istituto per gli Studi filosofici, che poiché al concessionario “era possibile trattenere per sé la maggior parte dei soldi”, accadde che “si precipitarono nel Sud le industrie del Nord, che fecero man bassa per la costruzione delle dighe: ne spuntarono dove erano utili e non dove non lo erano. Venivano a costare anche 100 volte più del dovuto”. Nacquero così negli anni ’60 le cosiddette «cattedrali nel deserto», non utili al Mezzogiorno, ma progettate in funzione dello sviluppo del Nord. Citando il prof. Uccio Barone:”si pensi al centro siderurgico di Taranto che ha prodotto i tubi di ghisa impiegati per la realizzazione del grande gasdotto siberiano, e pagati dai russi con la fornitura a basso prezzo di energia per le regioni settentrionali. Gli stessi poli petrolchimici di Priolo-Melilli, Gela e Milazzo sono risultati funzionali all’autosufficienza energetica del Nord industriale, lasciando alla Sicilia i guasti del dissesto ambientale. Nell’ultimo periodo, infine, la crisi economica mondiale e l’impatto traumatico della globalizzazione hanno dissolto l’azione della Cassa in interventi frantumati di «salvataggio» a sostegno di aree colpite dalla de-industrializzazione”. In uno studio del Fondo Monetario Internazionale si attesta che nell’ultimo periodo di vita della Cassa le imprese che hanno beneficiato dei finanziamenti sono state grandi imprese del nord per l’88,33% e del Sud per il 9,4%. Considerato che il sistema produttivo del sud con l’unità d’Italia è stato distrutto dalla concorrenza delle imprese del nord e dalla politica industriale, monetaria e tributaria piemontese, la Cassa del Mezzogiorno doveva rappresentare la spinta propulsiva per un nuovo sviluppo industriale meridionale. Così non è stato, e la Cassa, invece ha prodotto solamente sprechi che hanno favorito il prosperare della delinquenza, della corruzione, delle mafie, a discapito della stragrande maggioranza di cittadini che ogni giorno onestamente tirano la loro carretta (e pagano anche le tasse) per poi sentirsi anche denigrare da qualche zotico padano. Per questo e per mille altri motivi, al sud, in molti sono in apnea in attesa di qualcuno che porti avanti le istanze meridionali non in chiave territorialista, ma operando un confronto sereno ed aperto con tutte le realtà del Paese continuando a considerare l’Italia unica, senza separatismi, senza contrapposizioni, senza beceri interessi di bottega che possano essere presi in considerazione solamente da chi è “arretrato” non dal punto di vista geografico, ma culturale. E’ giunta l’ora di smetterla con il vittimismo, di dire basta alla ghettizzazione ed alle continue ingiurie operate da schizofrenici meridionalfobici, rivendichiamo il diritto all’uguaglianza, intesa come diritto di tutti noi ad avere le medesime possibilità. Reagiamo compatti, nei confronti di chi attenta all’unità nazionale, evitando di minimizzare gravi vilipendi, derubricandoli a mero folklore o a propaganda fine a se stessa.
Fonte:Generazione Italia
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